La filiera del latte in Italia vale 27,8 miliardi di euro di giro d’affari e, nonostante le incertezze legate all’abolizione delle quote produttive a partire dal 2015, il mercato continua a essere trainato dai prezzi. A tutto vantaggio delle regioni del Nord Italia dove si concentra l’83,6% della produzione commercializzata.
«Le proiezioni sul settore lattiero – sottolinea Daniele Rama, direttore dell’Osservatorio sul mercato dei prodotti zootecnici – dicono che nel 2020 la produzione di latte dovrebbe aumentare del 5% rispetto ad oggi, arrivando a 115mila tonnellate, mentre il numero di stalle dovrebbe scendere ulteriormente, fino a 23-24mila aziende». Una riduzione drastica analizzando le cifre contenute negli annuari sul mercato del latte e della carne, curati da Associazione italiana allevatori (Aia) e Alta scuola di management ed economia agroalimentare dell’Università Cattolica (Smea). Solo 20 anni fa le stalle italiane da latte erano 200mila, oggi sono 38mila e, come riportano le proiezioni, caleranno ulteriormente di oltre un terzo. La ristrutturazione delle aziende è un passo fondamentale per recuperare efficienza e frenare il calo della redditività che nell’ultimo anno, secondo il direttore di Smea, Renato Pieri, «è sceso in modo preoccupante di un ulteriore 6,2%».
Più acuta la crisi nel settore della zootecnia da carne. Il comparto bovino vale ancora un quinto dell’intera produzione zootecnica nazionale. E il suo giro d’affari di 3,4 miliardi di euro rappresenta il 7% di quello dell’intero settore agricolo. Ma sta perdendo terreno per la concorrenza di altre carni (pollame soprattutto) e l’aumento dei costi legato all’acquisto di capi esteri da «ingrassare». Una prassi che ha reso l’Italia dipendente per oltre il 50% dall’estero. Insomma, sono pochi i capi italiani da carne, ed è anche per questo che molto del reddito che si produce nei vari passaggi di filiera non si ferma nei bilanci delle aziende di allevamento.
I suini, infine. Pur destinati al circuito dei prosciutti Dop scontano una difficoltà a spuntare prezzi in grado di coprire i costi con il conseguente alleggerimento delle stalle: oggi sono allevate meno di 500mila scrofe, il 30% in meno rispetto a cinque anni fa. Il timore è che alla lunga possa mancare la pregiata materia prima made in Italy.
Il Sole 24 Ore – 1 aprile 2014