Il governatore sottolinea l’attualità dei «lacci e lacciuoli» di Carli e chiama in causa anche le resistenze «legislative e burocratiche»
«I problemi odierni dell’Italia sonomolto simili a quelli che si potevanoosservare al termine del governatorato Carli: “lacci e lacciuoli”, intesi come rigidità legislative, burocratiche, corporative, imprenditoriali, sindacali, sono sempre la remora principale allo sviluppo del nostro paese». Il governatore della Bancad’Italia, Ignazio Visco, ha scelto ieri di rievocare il Guido Carli instancabile sostenitore della modernizzazione del paese, nella relazionetenuta alla Luiss per la celebrazione del centenario della nascita dell’economista bresciano. Il ministro dell’Economia, Piercarlo Padoan, ha sottolineato che Carli fu il primo a intuire che il Patto di stabilità europeo dovesse chiamarsi «patto di stabilità e crescita» e ha tenuto a qualificare in tal senso lo stile del proprio dicastero: «Ritengo che un ministro delle finanze non può non considerare il temadella crescita come una sua precisa responsabilità. Soprattutto quando, come sappiamo, si è manifestata da tempouna riduzione strutturale della crescita economica». Padoan ha evitato di fornire numeri («ve li darò presto, speriamo siano quelli buoni») e dopo aver ricordato che «non possiamo permetterci di buttare al vento i risultati ottenuti in termini di consolidamento con sforzi enormi» ha concluso con una promessa ai propri colleghi: «Non sarò il ministro “solo” del no ma “anche” del no».
Sempre nel segno di Carli, Visco ha poi sottolineato l’attualità di una frase pronunciata nel 1971:«La nostra economia ha subìto una ferita: né l’impulso della spesa pubblica, pur se orientata nelle direzioni più congrue, né l’espansione creditizia, pur se attuata con coraggio, varranno, da soli, a restituirle vigore. Occorrerà che durante un certo intervallo temporale si realizzino incrementi della produttività in modi compatibili con i più progrediti assetti che si mira a stabilire nella vita aziendale e nelle condizioni di lavoro. Se ciò non accadrà, saremo costretti ad accettare saggi di sviluppo inadeguati». Oggi, ha aggiunto Visco, «non manca, come non è mancata in passato, la consapevolezza delle cose da fare. Ma i movimenti della politica, del corpo sociale sono apparsi impediti e l’azione è risultata largamente insufficiente rispetto al bisogno. Le conseguenze dell’immobilismo sono però diverse da quelle che si manifestavano negli anni Settanta: mentre allora era l’inflazione, oggi è il ristagno». Questo non significa, secondo il governatore della Banca d’Italia, che manchino i segnali di un recupero dell’economia: «I segni di risveglio che vediamo sono incoraggianti – ha detto ieri – ma vanno confermati nei mesi e negli anni futuri: la costanza nell’azione riformatrice è essenziale. Solo affrontando risolutamente i nodi strutturali che hanno frenato l’economia italiana già prima delle recenti crisi, e ne hanno aggravato le conseguenze, sarà possibile riprendere un sentiero di crescita robusta e duratura». Negli anni, infatti, secondoVisco, «siamo scivolati indietro, abbiamo accumulato ritardi nel cogliere le opportunità offerte dai grandi cambiamenti: la globalizzazione degli scambi e la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione». Gli ammonimenti a evitare comportamenti corporativi hannosuscitato reazioni critiche soprattutto da parte dei sindacati: «Misembraun riproporre ricette che hannogià mostrato il loro fallimento» ha detto Susanna Camusso, segretario della Cgil, mentre Raffaele Bonanni segretario della Cisl ha parlato di «parole a vanvera». E ha aggiunto: «Nonsi può fare d’ogni erba un fascio: ci sono sindacati e sindacati, imprese e imprese. Vero è che le massime autorità debbono stare attente a come parlano perché stanno gridando allo sfascio e stanno diventando loro gli untori del populismoitaliano». Quantoalle aziende, gli imprenditoririuniti a Bari hanno accolto con attenzione e qualche perplessità lo stimolo esercitato da Visco: «Il governatore – ha commentato Alessandro Laterza vicepresidente per il Sud di Confindustria – è un esperto della materia. Faccio difficoltà a credere che volesseessere così severo. Per unimprenditore l’innovazione è tutto. E non è una scelta, è una necessità. Se un’impresa non innova muore». Mentre Alberto Baban, presidente della Piccola Industria e vicepresidente di Confindustria, ha aggiunto: «Non credo che la dichiarazione di Visco vada letta in un contesto polemico, anche perché le imprese non possono che essere motori di innovazione. Se un’impresa resta ferma è infatti destinata al fallimento. Dobbiamo però fare in modo che in questo paese sia possibile innovare e continuare ad investire».
Il Sole 24 Ore – 29 marzo 2014