I tagli dei dipendenti pubblici non sono di oggi. Prima di Carlo Cottarelli, l’attuale commissario alla spending review che ha parlato di 85mila esuberi tra gli impiegati pubblici, altri ministri e presidenti del Consiglio si sono esercitati con i numeri degli “statali”. Con ricette diverse ma con un obiettivo che è sempre rimasto lo stesso: cercare di ridurre le spese.
Si è iniziato a parlarne in maniera sistematica a cavallo del Duemila. Ministro della Funzione pubblica era Franco Bassanini e in quel momento c’era chi spingeva sul blocco del turn-over, contando di risparmiare 7-8mila miliardi (di lire). Bassanini, invece, non credeva in queste cifre («al massimo si risparmierebbero mille miliardi») e aveva in serbo altre misure, come il potenziamento del part-time. Fatto sta che è da quegli anni che si iniziò a ragionare seriamente sul contenimento del numero dei dipendenti pubblici e fu allora che prese piede la regola che le assunzioni nelle amministrazioni dovevano rispettare la copertura finanziaria indicata nella manovra di fine anno.
È però nel 2008 che il meccanismo di avvicendamento all’interno degli uffici pubblici assume carattere sistematico. È il Governo Berlusconi, con Renato Brunetta a capo del ministero della Pubblica amministrazione, che vara il decreto legge 112 del 2008 con l’obiettivo di semplificare l’apparato burocratico e ridare fiato allo sviluppo. Una parte significativa di quel provvedimento è dedicata agli interventi sul personale pubblico. Viene previsto che le assunzioni non possono eccedere il 20% delle uscite dell’anno prima. In altre parole, vengono reclutati due dipendenti ogni 10 andati via. Il blocco del turn-over trova, dunque, un’applicazione piuttosto pesante. Ma non si tratta dell’unica novità. Il decreto legge agisce anche sul fronte della contrattazione riducendone le risorse. Sta di fatto che dal 2008 i contratti, nazionali e integrativi, sono bloccati.
Sempre con il Dl 112 di apre il fronte del riassetto organizzativo delle amministrazioni statali e degli enti pubblici: l’obiettivo è ridurre gli uffici dirigenziali di livello generale del 20% e quelli di livello non generale del 15 per cento. La manovra ha soprattutto lo scopo di tagliare le dotazioni organiche degli uffici pubblici, così da ridimensionare la sproporzione tra i numeri del personale “potenziale” e quello in servizio, quest’ultimo sempre più contenuto per via del blocco delle assunzioni. Operazione, quest’ultima, ripresa con il decreto legge 95/2012 messo in campo dal Governo Monti e con Filippo Patroni Griffi come ministro della Pubblica amministrazione.
Sulla revisione delle dotazioni organiche si innesta poi la manovra taglia-enti – rivitalizzata, dopo un incerto avvio, sempre dal decreto legge 112 del 2008 – che accorpa il personale delle amministrazioni soppresse con quello di altri uffici. E di questo va tenuto conto qualora si trovino esuberi presso alcune strutture, ovvero dipendenti in numero superiore agli organici (comunque ridotti). Potrebbe trattarsi di addetti trasferiti dagli enti soppressi. In quasi tutte le amministrazioni, invece, gli organici sono superiori ai dipendenti in servizio.
A dare sistematicità al quadro e ai numeri su cui Cottarelli ha ragionato interviene nel 2010 (sempre Governo Berlusconi e Brunetta ministro della Pa) il decreto legge 78, che imprime un’accelerata al taglio degli enti inutili, riduce i maxi-stipendi oltre i 90mila e 150mila euro (norma poi bocciata dalla Consulta) e ribadisce lo stop alla contrattazione collettiva.
Dopo tante norme, i risultati: i dipendenti pubblici in questi anni sono circa 240mila in meno (si attestano sui 3,3 milioni), taglio che ha ridotto, secondo Michele Gentile della Cgil, di 9 miliardi i costi per il lavoro, che si aggiungono ai 100 miliardi di euro di risparmi sulla spesa complessiva della pubblica amministrazione. E Gentile si chiede: «Dove sono gli 85mila esuberi indicati da Cottarelli?».
Il Sole 24 Ore – 24 marzo 2014