I megastipendi da 3/400 mila euro annui lordi dei segretari di Camera e Senato e dei loro vice potrebbero essere tagliati nel giro di qualche mese. Dovrebbe essere questo il primo risultato del nuovo giro di vite sulle retribuzione dei 2.300 dipendenti del parlamento italiano partito nei giorni scorsi. Le mega retribuzioni dei dirigenti “apicali” delle due Camere sono nel mirino delle rispettive presidenze perché superano il tetto dei 300 mila euro lordi annui istituito dal governo Monti per tutti gli alti burocrati pubblici.
Tetto che, nell’ambito della spending review plasmata dal commissario Carlo Cottarelli, potrebbe scendere ulteriormente ai circa 250 mila euro previsti per il Presidente della Repubblica. In particolare, lo stipendio del segretario generale della Camera ammonta a 406 mila euro lordi e spicci. Ma finora non è stato toccato poiché le Camere, così come Quirinale, Cnel e Consulta, sono organi previsti dalla Costituzione e in quanto tali hanno bilanci e regole autonome, sulle quali il Tesoro non può incidere.
IL NODO DEGLI SCATTI Con ogni probabilità le Camere faranno pressing verso i sindacati affinché venga modificato il meccanismo degli scatti d’anzianità che oggi fa aumentare moltissimo le retribuzioni nella parte finale della carriera. Alla Camera per i primi anni sono previsti scatti che assicurano aumenti del 5% per ogni biennio. L’aumento poi scende al 2,5% dopo una certa anzianità. Al Senato gli scatti equivalgono invece ad aumenti del 2%.
IL TAVOLO Il nodo dei super stipendi del personale diMontecitorio e di Palazzo Madama è tornato d’attualità nei giorni scorsi quando le due vicepresidenti di Camera e Senato, Marina Sereni e Valeria Fedeli, hanno aperto la trattativa con i 20 (venti) sindacati che rappresentano il personale delle due Camere, con l’obiettivo di raggiungere un accordo su ulteriori tagli. Nonostante una riduzione di quasi 8,5 miliardi prevista per quest’anno per la sola Camera, infatti, la voce «salari del personale» assorbe circa il 25% dei bilanci delle due Camere e supera notevolmente quella delle retribuzioni dei deputati e dei senatori, rimborsi compresi.
IL VERTICE Il vertice, per una volta, non si è risolto nella solita passerella. E’ stato deciso infatti, di aprire alcuni tavoli tecnici per affrontare varie questioni a cominciare, come si legge nell’intervista a lato, dalle retribuzioni più alte della burocrazia parlamentare.
I TRATTAMENTI Ma anche per affrontate una questione spinosissima come l’armonizzazione del trattamento dei lavoratori delle due Camere. Già perché, per quanto possa sembrare incredibile, i 1.500 dipendenti di Montecitorio godono di un contratto completamente diverso da quello degli 829 colleghi – se così si può dire – di Palazzo Madama. Le tabelle che confrontano i due trattamenti sono un monumento alla complessità italiana maanche ad una collaudata capacità di spalmare privilegi grandi e piccoli. Qualche esempio? Le ferie, o congedi come vengono burocraticamente chiamate, possono svettare fino a 46 giorni per i consiglieri (funzionari d’alto livello) del Senato. Su questo punto i dipendenti della Camera sono un po’ più sobri e hanno diritto a ferie che oscillano fra i 29 e i 41 giorni annui a seconda dell’anzianità di servizio e del grado. In compenso a Montecitorio si rifanno sui tagli per i giorni di malattia che non superano il 20% dello stipendio per i primi 5 giorni di malattia (a meno che non si tratti di patologie gravi o di ricovero in ospedale) mentre Palazzo Madama in caso di assenze per disturbi lievi decurta lo stipendio del 50% per i primi tre giorni di riposo.
LA PAUSA PRANZO Ancora. A Montecitorio l’orario di lavoro è di 40 ore settimanali comprensive della mezz’ora giornaliera per la pausa pranzo.
A Palazzo Madama, invece, nelle 40 ore settimanali non è prevista alcuna pausa. Insomma i dipendenti del Senato sono da sempre pagati un po’ meglio ma lavorano un po’ di più. Anche sul conteggio dei permessi le due Camere hanno regole diverse con il Senato che concede mezza giornata di riposo se lo straordinario giornaliero supera le tre ore. Unica regola comune è quella pensionistica: dal 2011 anche per i fortunati dipendenti di Camera e Senato è scattato il calcolo contributivo. Nulla è previsto invece sul delicato tema delle pensioni.
Dal 2011 sia i dipendenti della Camera che quelli del Senato sono passati al sistema contributivo, come tutti gli altri italiani. Ma resta il fatto che per la voce previdenza del personale la Camera spende ben 231 milioni che diventeranno 236 milioni nel 2015. I deputati invece resteranno fermi a quota 139 milioni.
Il Messaggero – 24 marzo 2014