Il tweet di Matteo Renzi arriva subito dopo la proclamazione del risultato: «Politica 1 disfattismo 0», scrive il premier ricorrendo alla metafora calcistica per commentare il primo via libera all’Italicum. La Camera ieri ha infatti approvato con 365 voti favorevoli (389 erano i voti sulla carta di Pd, Fi e Ncd), 40 astenuti, gran parte dei quali di Scelta civica, ovvero di un partito della maggioranza di governo, così come i Popolari che hanno votato «no» come Lega, 5Stelle, Sel e FdI .
Dietro l’apparente soddisfazione («il primo vero risultato alla Camera» commentava il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi) si cela però la grande preoccupazione per il secondo tempo della partita sulla legge elettorale che si terrà a breve al Senato. Anche perché tra quei «disfattisti», tra i «gufi», c’è anche una parte importante del Pd. A partire dal suo predecessore, Enrico Letta, che ieri ha preferito non presentarsi in aula come altri lettiani, e Pippo Civati. Non certo una sorpresa ma un segnale significativo anche perché accompagnato dal dissenso esplicito, anche se non nel voto, manifestato da Pier Luigi Bersani e Gianni Cuperlo. «Ho sentito parlare di complotti, potrà apparire strano a Renzi ma c’è gente che non sa cosa voglia dire questa parola», attacca Bersani, che chiede al premier «rispetto» verso i deputati del suo partito «che sono qui pur avendo critiche da fare». Un segnale che suona come un vero e proprio warning per Renzi in vista del delicatissimo passaggio al Senato, dove i numeri della maggioranza sono più risicati e dove la pattuglia renziana è in netta minoranza. «La legge elettorale ha molti limiti e certamente è perfettibile – ha commentato il premier – ma non ci saranno mai più larghe intese e chi vince governa 5 anni. È una rivoluzione impressionante, c’è un cambio strutturale».
Ma a gelare gli entusiasmi è arrivata immediatamente la dichiarazione di guerra del lettiano Francesco Russo, uno dei nove senatori del Pd presenti in commissione Affari costituzionali dove ci sono solo tre renziani e la cui presidente, Anna Finocchiaro, fa parte dell’opposizione interna: «Quote rosa, preferenze, soglie e conflitto di interessi. Tutto quello che la Camera ha respinto sarà riproposto al Senato». Parole che fanno eco a quei «miglioramenti» chiesti dal leader del Ncd Angelino Alfano, che di fatto ribadisce la non votabilità del testo uscito ieri dalla Camera.
In ballo c’è il cuore della legge: dalle soglie di sbarramento per partiti e coalizioni, alle preferenze oltre al corredo della parità di genere. Ma Fi già fa le barricate: «Non accetteremo accordi al ribasso» avverte Renato Brunetta. E il partito di Silvio Berlusconi a Palazzo Madama è ancora più determinante che alla Camera per garantire il varo dell’Italicum. Da ricordare che il nuovo sistema elettorale vale solo per la Camera e quindi dà per scontata la riforma del Senato. Renzi l’ha posta come una conditio sine qua non: «Se non passa la fine del bicameralismo perfetto considero chiusa la mia esperienza politica», dichiara il premier, che anticipa di voler consegnare entro due settimane il testo di riforma costituzionale a tutti i leader delle forze politiche di maggioranza e opposizione.
Il Sole 24 Ore – 13 marzo 2014