Non è conforme alla normativa comunitaria la decisione di escludere una donna in congedo di maternità da un corso di formazione professionale, se questo corso è inerente al suo impiego ed è obbligatorio per ottenere la nomina definitiva in ruolo.
Così la sentenza della Corte di giustizia europea emanata ieri (causa C 595/12), a conclusione di una procedura avviata davanti al Tar del Lazio dal ricorso di una lavoratrice italiana che aveva superato un concorso per la nomina a vice commissario di polizia penitenziaria. Dopo aver vinto tale concorso, la lavoratrice avrebbe dovuto partecipare ad un corso di formazione, ma questo era fissato in un periodo durante il quale la stessa si trovava in congedo obbligatorio di maternità. Per questo motivo, l’amministrazione penitenziaria (che organizzava il corso) le escludeva dal corso, riconoscendole tuttavia il diritto a frequentare quello successivo; l’esclusione veniva motivata con la necessità di applicare il periodo di congedo obbligatorio, previsto dalla legislazione italiana.
La lavoratrice impugnava l’atto di esclusione e il Tar rimetteva alla Corte di giustizia la questione per chiedere che fosse accertata l’illegittimità dell’esclusione rispetto al diritto comunitario.
La Corte Ue nella sua decisione parte dalla considerazione che la materia è disciplinata dalla direttiva 2006/54, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. A tale proposito, la Corte ricorda che l’articolo 14 della direttiva vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento, la retribuzione, e la formazione. La stessa direttiva stabilisce che alla fine del periodo di congedo per maternità la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza.
Il Sole 24 Ore – 7 marzo 2014