Anche se il governo Renzi dovesse aumentare il prelievo sulle rendite finanziarie (Bot compresi, secondo quanto prospettato ieri dal sottosegretario alla presidenza Delrio), non è da qui che verrà il grosso delle risorse per rilanciare l’occupazione e la crescita dell’economia.
Con un eventuale allineamento della tassazione alla media europea (l’Italia, col 12,5% sui titoli di Stato e il 20% su azioni, obbligazioni, dividendi e depositi, si colloca 2-3 punti sotto) si potrebbe incassare infatti al massimo un miliardo, dicono gli esperti. E comunque anche un inasprimento dell’aliquota del 12,5% sui titoli di Stato colpirebbe solo una piccola parte di questi, quelli in mano alle famiglie, ovvero 174 miliardi su un totale di 1.740 miliardi in circolazione (dati Banca d’Italia). Il 90% dei Bot, Cct e altri titoli di Stato è infatti detenuto da banche, assicurazioni e società finanziarie, tutti soggetti per i quali i redditi da capitale finiscono nell’imponibile fiscale complessivo, e che quindi sono indifferenti alle variazioni dell’aliquota secca.
La manovra sulle rendite avrebbe soprattutto un valore simbolico: come ha spiegato Delrio, far pagare di più chi vive di rendita per abbassare il prelievo sul lavoro. «Niente nuove tasse — dicono a Palazzo Chigi — ma una rimodulazione fermo restando l’orizzonte del governo di una diminuzione della pressione fiscale complessiva». Questo proposito di Renzi dovrà però fare i conti con le valutazioni del neoministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, impegnato già ieri sera, a Palazzo Chigi, nella prima riunione di lavoro con il presidente del Consiglio. Padoan, da economista, ha sempre sostenuto la necessità di un riequilibrio del trattamento fiscale tra lavoro e rendita. Ma in veste di titolare del Tesoro dovrà fare i conti con la necessità di non spaventare i mercati ai quali ogni anno l’Italia chiede di sottoscrivere circa 400 miliardi di titoli di Stato per finanziare il proprio debito pubblico.
In ogni caso, non sono le rendite la leva sulla quale conta il governo per azionare il programma di rilancio economico. Che poggia invece su altre voci ben più consistenti. Innanzitutto la revisione della spesa pubblica. Secondo il lavoro fatto sui 25 tavoli di settore coordinati in questi mesi dal commissario Carlo Cottarelli, si potrebbero tagliare già nel 2014 almeno 4 miliardi di euro. Come? Un miliardo con l’estensione alle Regioni e alle forniture sanitarie del raggio di azione della Consip, la società dell’Economia per l’acquisto centralizzato di beni e servizi, e dal taglio della spesa per locazioni (730 milioni l’anno solo quella dello Stato centrale). Risparmi importanti dovrebbero arrivare dalla chiusura e messa in liquidazione delle società partecipate, in particolare quelle degli enti locali che ne contano oltre 2 mila in perdita, dalla rinegoziazione dei contratti di fornitura (energia, servizi, manutenzione), dalla riorganizzazione dell’amministrazione centrale con l’accorpamento di strutture (per esempio le scuole di formazione dei dirigenti), dall’attuazione dell’Agenda digitale, dal taglio dei costi della politica, a partire dalle auto blu. C’è poi il capitolo dipendenti pubblici: non ci saranno licenziamenti, ha detto Delrio. Ma la mobilità sì, per spostare il personale da dove non serve, e gli esuberi verranno gestiti con l’estensione al pubblico degli ammortizzatori sociali. Cottarelli ha anche verificato che è possibile ridurre gli incentivi alle imprese ed eliminare abusi e sovrapposizioni, anche con controlli più severi, nelle prestazioni sociali e assistenziali, così come si può risparmiare riorganizzando e informatizzando la giustizia, tagliando enti inutili e accorpandone altri. È chiaro che non tutto si potrà fare subito, ma almeno 4 miliardi si dovrebbero ricavare già nel 2014, secondo il governo, fermo restando l’obiettivo di raggiungere un taglio della spesa di 32 miliardi nel 2016.
Quattro miliardi dalla spending review quindi, ai quali si aggiungeranno 3 miliardi dal rientro dei capitali nascosti all’estero, secondo il provvedimento varato dal governo Letta, e 3 miliardi da minore spesa per interessi sul debito, grazie all’andamento favorevole dei mercati. Insomma una decina di miliardi per finanziare una robusta riduzione, si parla di 7-8 miliardi, del cuneo fiscale sul lavoro: 2,5 miliardi in meno per le imprese con un taglio del 10% dell’Irap e il resto ai lavoratori dipendenti e ai pensionati attraverso un aumento delle detrazioni sui redditi bassi per ottenere fino a 450 euro l’anno in più per chi guadagna 15 mila euro. I restanti 2-3 miliardi potrebbero essere destinati agli incentivi per assumere i giovani e all’assegno minimo di garanzia, cioè un sussidio di disoccupazione cui avrebbero diritto anche in giovani che non riescono a trovare lavoro purché partecipino a un programma di formazione. Ci sono infine le entrate una tantum, come gli 8-10 miliardi dalle privatizzazioni impostate dal governo Letta e i proventi da un eventuale accordo con la Svizzera per il rientro dei capitali. Entrate che andranno a riduzione del debito.
Enrico Marro – Il Corriere della Sera – 24 febbraio 2014