Secondo la Commissione l’Italia non è in regola sul fronte dell’aggiustamento di bilancio strutturale annuale e sulla riduzione del debito. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, vola oggi a Bruxelles, nel giorno dell’incarico a Matteo Renzi, con in tasca l’indicazione di massima dei risparmi che sarà possibile conseguire già quest’anno dalla «spending review».
Circa 3 miliardi, che dovrebbero affiancarsi agli incassi attesi dal pacchetto di privatizzazioni (8-9 miliardi). Risorse qualificate dallo stesso Saccomanni come «stime provvisorie», per provare ad aggredire il moloch del debito pubblico, che secondo la Commissione europea quest’anno toccherà la cifra record del 134% del Pil. Quanto agli incassi attesi dal rientro dei capitali esportati illegalmente (è il meccanismo della «voluntary disclosure»), la prima stima contenuta nel documento «Impegno Italia» illustrato da Enrico Letta il 12 febbraio parla di 3 miliardi quest’anno e di 5 miliardi nel 2015.
Se questa è la “dote” aggiuntiva attesa da Bruxelles per sbloccare la cosiddetta «clausola per investimenti», la partita si annuncia alquanto complessa e si potrebbe riaprire solo tra qualche mese. Si tratta infatti di stime, e non degli atti concreti attesi da Bruxelles, con risultati già sostanzialmente definiti. In particolare per la spending review, il timing è sostanzialmente questo: entro il 20 febbraio il commissario straordinario Carlo Cottarelli acquisirà le indicazioni provenienti dalle 25 task force che partecipano al piano di revisione strutturale della spesa. Input che lo stesso Cottarelli trasferirà in proposte di intervento, da consegnare all’apposito Comitato interministeriale. Poi il nuovo governo dovrà presentare in Parlamento i relativi provvedimenti, fermo restando l’obiettivo dei 32 miliardi da conseguire nel triennio 2014-2016. Una previsione ottimistica induce a ritenere che i tagli potranno diventare operativi non prima della tarda primavera, fuori tempo massimo dunque rispetto al timing di Bruxelles.
Ma la questione rischia di essere tutto sommato marginale, e non a caso Saccomanni ha fatto sapere che la clausola di flessibilità, così come concepita, «è di fatto priva di utilità per l’Italia in quanto richiederebbe una manovra restrittiva di pari entità della flessibilità concessa, con effetti che sarebbero neutri o negativi sulla crescita nel breve periodo». La Commissione europea ha già fatto sapere che le stime del governo sulla crescita del 2014 sono ottimistiche. In attesa del 25 febbraio, quando saranno diffuse le nuove stime macroeconomiche, Bruxelles è ferma per ora a quota 0,7% (contro l’1,1% della previsione governativa).
Ma soprattutto, secondo la Commissione l’Italia non rispetta la precondizione fondamentale per poter fruire dei margini di flessibilità previsti dal cosiddetto «braccio preventivo» del Patto di stabilità: quella di assicurare progressi “sufficienti” in direzione dell’obiettivo di medio termine, in sostanza il saldo di bilancio strutturale, che per noi vale almeno lo 0,5% del Pil ogni anno. L’aggiustamento strutturale è di 0,12% punti contro gli 0,66 richiesti, e non caso Bruxelles fissa al 134% il target 2014 per il debito che l’Italia fissa invece al 132,7 per cento. Diversa la valutazione del governo, che lo stesso Saccomanni ribadirà oggi alla riunione dell’Eurogruppo: il deficit 2014, stimato al 2,5%, consente al debito una sufficiente velocità di discesa.
Con queste premesse, il piano dei tagli che il governo invia di formazione si troverà a pilotare vede in primo piano un nuovo intervento sul fronte delle forniture per beni e servizi delle pubbliche amministrazioni. Operazione che quest’anno potrebbe consentire attraverso il «metodo Consip» di conseguire risparmi per circa 1 miliardo (si veda il Sole 24 Ore del 13 febbraio). L’eventuale estensione del blocco al 100% del turn over a tutto il perimetro della Pa potrebbe poi far risparmiare 7-800 milioni nel biennio 2014-2015. Vi si aggiunga l’eventuale disboscamento delle società partecipate, la razionalizzazione dell’utilizzo degli immobili delle amministrazioni centrali, la soppressione di un certo numero di enti inutili, nonché l’estensione di costi e fabbisogni standard dalla sanità all’intera amministrazione pubblica.
Indicazioni di intervento che dovranno ottenere il fondamentale placet in sede politica. Non a caso lo stesso Cottarelli ha ribadito in più occasioni che l’operazione potrà avere successo solo se vi sarà un convinto supporto politico: «I tecnici possono proporre ma poi non sono loro a decidere».
Il Sole 24 Ore – 17 febbraio 2014