Il buco di un miliardo e mezzo, i fornitori non pagati, il rischio di fallimento, il suicidio dell’ex vicepresidente Mario Cal, braccio destro di Don Verzè che morirà poco dopo. E ancora, l’asta indetta dal Tribunale di Milano. Poi il salvataggio del gruppo Rotelli che in sette mesi di gestione ha dimezzato il disavanzo di 65 milioni scoperto solo dopo aver vinto l’asta. Anni terribili, il 2011 e il 2012, per il San Raffaele. Eppure la ricerca non si è fermata. La macchina sbandava e all’interno dell’abitacolo i piloti mantenevano il controllo.
La prova è il rapporto finale sui finanziamenti assegnati dal ministero della Salute con un bando aperto a tutti gli «operatori del servizio sanitario nazionale». Da solo l’ospedale assorbe con 43 progetti il 14% dei 130 milioni stanziati e nella classifica dei più premiati è al primo posto con netto distacco rispetto ai concorrenti. Stamattina i risultati di un lungo lavoro di selezione, che ha visto coinvolti migliaia di arbitri stranieri, viene pubblicato nel sito del ministero.
Su 4000 progetti presentati, 372 hanno ricevuto sostegno economico, con una decisa prevalenza di studi di base, cioè quelli che non riguardano il malato direttamente ma aprono la strada alla sperimentazione clinica. La maggior parte dei fondi è stata destinata allo studio di malattie oncologiche e neurologiche ma anche di disturbi metabolici e cardiovascolari. Al bando hanno partecipato tutti gli attori della nostra sanità, unica esclusa la Calabria che ha commesso errori tecnici nell’invio del materiale. Salta agli occhi la prevalenza dei centri del Nord (174 progetti) seguito dal Centro (132). Alle spalle del San Raffaele, con 44 progetti, si piazzano Toscana, Istituto superiore di sanità, Emilia Romagna. Dunque Santa Lucia di Roma, Ieo, Humanitas, Maggiore di Bologna e l’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Una parte dei finanziamenti, circa 50 milioni, sono andati ai giovani ricercatori sotto i 40 anni.
La soddisfazione di Alberto Zangrillo, vicepresidente della commissione nazionale ricerca sanitaria, riguarda soprattutto il metodo che ha permesso di arrivare ai più meritevoli: «È stato applicato il modello vincente della peer rewiew (valutazione tra pari, ndr )internazionale: ovvero il metodo della valutazione indipendente da parte di scienziati,in larga maggioranza stranieri, che giudicano la qualità degli studi senza conoscere l’autore. L’obiettivo del bando è promuovere l’applicazione clinica». La novità è che l’Italia sarà l’unica a pubblicare il rapporto finale su internet per completare un percorso di trasparenza avviato nel 2009.
In questo Paese guardato con sospetto anche dai cittadini sembra che qualcosa di buono, impermeabile alle spinte e alle raccomandazioni, si riesca a realizzare. La valutazione tra pari funziona così. Ogni giudice straniero riceve 10 progetti concorrenti indicati con un codice, dunque non può sapere a chi appartengono. Così l’esaminatore è autonomo e indipendente. In una seconda fase i revisori si confrontano e agli studi viene attribuito un punteggio fino ad ottenere una classifica. Solo alla fine si scopre l’identità di chi ha avuto la meglio. Questo sistema riguarda i fondi a disposizione del ministero della Salute, l’1% del fondo sanitario nazionale. Purtroppo manca in Italia un quadro d’insieme. Nessuno sa quanti soldi nel complesso vengano erogati per la ricerca sanitaria da altre fonti (ad esempio ministero dell’Università, Regioni o Unione Europea o associazioni private tipo Telethon). Un lavoro di ricostruzione è stato appena avviato e richiederà molto tempo. Sarebbe importante mettere tutto in rete in modo da unire le forze verso obiettivi comuni e razionalizzare.
Margherita De Bac – Il Corriere della Sera – 30 gennaio 2014