Trentatre anni e nove mesi di condanna complessiva per i vertici Enel. Sono queste le richieste formulate ieri in aula dal pm Manuela Fasolato nell’ambito del processo per i reati – contestati a vario titolo – di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro ed eventuali disastri.
Per l’ex amministratore delegato di Enel Franco Tatò, in carica dal 1996 al 2002, chiesti sette anni con interdizione perpetua dai pubblici uffici. Per Paolo Scaroni, suo successore fino al 2005 e ora amministratore delegato di Eni, cinque anni e tre mesi e interdizione perpetua. Per l’ad in carico Fulvio Conti, 36 mesi di condanna e interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Invece per Leonardo Arrighi che aveva siglato il progetto di conversione a carbone per conto di Enel Produzione, oggi Gem, e per gli ex presidenti di Enel Produzione Alfredo Inesi, Antonino Craparotta e Sandro Fontecedro sono stati chiesti quattro anni ciascuno, e tre di interdizione. Trenta mesi per l’ex direttore della centrale di Porto Tolle Carlo Zanatta, mentre sono tutte prescritte le accuse al suo predecessore Renzo Busatto. Nessuno di loro era presente in aula.
Nella sua requisitoria, iniziata alle 9.45 e terminata nel tardo pomeriggio con un’ora di pausa pranzo, Fasolato ha ripercorso tutte le tappe che hanno portato all’accusa. Ovvero che gli imputati, ognuno per i periodi in cui hanno ricoperto gli incarichi e per le loro competenze, dal 1998 al luglio 2009 non hanno collocato nella centrale di Porto Tolle impianti ed apparecchi destinati a prevenire disastri e infortuni sul lavoro. Di conseguenza, sono insorte malattie respiratorie e cardiovascolari dovute alle emissioni della centrale in un raggio di 25 chilometri dall’impianto. «In particolare – scrive la Procura rodigina – per il periodo 1998-2002 è stato calcolato nella misura dell’11 per cento l’aumento di tutti i ricoveri legati a patologie respiratorie».
Una centrale, quella di Porto Tolle, che oggi appare ormai destinata a chiudere visto che la riconversione a carbone appare lontanissima all’orizzonte nonostante la procedura di valutazione d’impatto ambientale (Via) sia formalmente ancora in piedi. Ma, per l’accusa, nel passato l’impianto termoelettrico funzionante a olio combustibile ha provocato danni alla salute. Secondo i periti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) il risarcimento per danno economico e ambientale provocato allo Stato dalla centrale di Porto Tolle ammonta a 3,6 miliardi. Di questi, 2,6 di danni sanitari, essenzialmente per la malattie causate, più un miliardo per omessa ambientalizzazione. Una stima, questa, che è agli atti del processo. La sentenza è attesa per marzo.
Intanto, la Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dagli ambientalisti contro la sentenza del consiglio di Stato del 2012. Due anni fa, a fronte della modifica della legge regionale sul parco del Delta del Po del 1997 e di una normativa nazionale, era stato permesso a Enel di riavviare la procedura Via per la riconversione a carbone della centrale.
Corriere del Veneto – 28 gennaio 2014