di Carlo Carboni. Sembra proprio che per un po’ dovremo archiviare o, comunque, ripensare il federalismo. Eliminate le Province, ci sono le Regioni, alcune delle quali a rischio di default per voragini nei bilanci complessivi e della sanità. Metà dei consiglieri dei parlamentini regionali sono sotto inchiesta, in genere per uso improprio di fondi, nonostante i loro principeschi trattamenti: milioni di euro finiti in rolex, tablet, profumi, cene lussuose, tutto, più o meno, sulle tracce dell’ineffabile Fiorito.
Nell’annus horribilis delle Regioni, il 2012, sono cadute tre giunte della stazza di Sicilia, Lazio e Lombardia. Debito, corruzione e sprechi fluiscono al centro come nelle periferie. L’ultima notizia è che in Sicilia risultano indagati 97, tra consiglieri e funzionari regionali, per illecito utilizzo dei rimborsi spettanti ai gruppi consigliari: il solito copione per cui «una mano lava l’altra» finisce per aggregare un network trasversale. Il rischio è che faccia sistema proprio questa dark side della nostra architettura istituzionale, piegata, prima che dai tagli dello Stato, dalla pletora di clientele che caratterizzano i nostri mercati politici locali e regionali.
L’occasione federalista appare oggi un’occasione sciupata, se non persa. I cittadini che hanno disertato le urne amministrative e regionali nel 2013 sfiorano il 50% e in alcuni casi, come in Basilicata nel novembre 2013, l’astensionismo va oltre la metà dell’elettorato. Il federalismo è in crisi per le malefatte dei suoi protagonisti, che evidenziano in modo inequivocabile la voragine che separa le aspettative passate e i risultati (?) del presente.
Le aspettative erano elevate. Maggiori funzioni e poteri ai governi “di prossimità” avrebbero dovuto riavvicinare cittadini e istituzioni e, d’altra parte, si era resa necessaria questa supplenza federalista a un’élite nazionale dapprima scossa da Tangentopoli e, poi, imputata del malessere del Paese, fino allo showdown delle élite politiche in questi anni di crisi, durante i quali ne abbiamo viste di tutti i colori.
Anche il federalismo europeo, o meglio l’unione politica europea, era tra le aspettative diffuse in molti Paesi d’Europa, nella speranza di evitare gli effetti negativi di élite politiche nazionali aspramente criticate (Hay 2007).
Per tutti gli anni 90 il federalismo dell'”Europa delle regioni” ha costituito un possibile modello di governo multilivello del Vecchio continente, in grado di dribblare gli effetti negativi di élite nazionali in declino quanto a strategia e decisioni. Al contrario, nel primo decennio del secolo e con l’avvento della crisi, abbiamo assistito non solo a un set-back del nostro percorso istituzionale federalista (nonostante Bossi ministro del federalismo nel IV governo Berlusconi), ma a un generale arretramento dell’idea federalista, compresa quella europea, accompagnata da un’inaspettata resilienza delle élite nazionali in grado sia di imporre tagli pesanti agli enti locali sia di riprendere quota in Europa, con il decollo dell’unione intergovernativa a trazione tedesca.
Infatti, le degenerazioni che hanno riguardato protagonisti e gestione degli enti regionali sono state accompagnate da recenti difficoltà incontrate dall’idea federalista tanto in Europa che in Italia: soprattutto, quando sottosistemi delicati come quello fiscale sono chiamati a cambiare, ma anche quando si risvegliano i nazionalismi su sollecitazione delle urgenze della crisi. L’idea federalista in larga parte ha marciato, sia da noi che in Europa, su binari elitari, creando élite autoreferenziali sia a livello regionale che europeo. Il federalismo, poi, era stato visto come la soluzione di tutti i mali nazionali, soprattutto al nostro Nord, ma la crisi non si è limitata a evidenziarli e spinge per riforme economiche, istituzionali, elettorali da decidere con l’urgenza dell’emergenza.
Insomma, anche se fuori da sistemi regionali e fuori dall’Europa non c’è salvezza, lo Stato nazionale, compreso il nostro, è tornato a essere il centro di attese decisioni per i cittadini riguardo le cosiddette riforme strutturali. Nel frattempo, le Regioni hanno duplicato il loro debito, sciupando così l’autonomia acquisita. Per motivi diversi, né l’unione europea né il federalismo italiano sono stati in grado di riavvicinare i cittadini alle istituzioni. Basta pensare che il primo partito in tutte le regioni italiane è oggi largamente l’astensione e che il federalismo è l’ultimo pensiero delle famiglie italiane.
Quanto all’Europa, si attende una maggioranza di non voto e una quota parlamentare anti-europeista consistente, in una fase in cui la fiducia dei cittadini europei verso la Ue è ai minimi. C’è dunque da ripensare all’idea federalista in Italia e in Europa e da capire se l'”Europa delle regioni” non vada archiviata come utopia.
Il Sole 24 Ore – 20 gennaio 2014