Quest’anno le famiglie italiane rispetto al 2008 hanno dovuto tagliare un mese di consumi (soprattutto nei trasporti) e lavorato cinque giorni in più per onorare i loro impegni con il Fisco, specie quello locale. E non tutto il “reddito non speso” si trasforma in risparmio. Lo rivela il «Consumer End Day» del Centro studi Sintesi, che analizza le modalità d’impiego dei redditi.
Oltre cinque milioni di famiglie, il 20% del totale, sono a rischio «default», avendo almeno un componente in difficoltà economica. Dal report realizzato da Italia Lavoro, mettendo a confronto gli anni dal 2004 al 2012, emerge anche che sempre più coppie sono costrette a mantenere giovani «Neet»: quasi una su tre tra quelle con figli sotto la soglia dei trent’anni.
Le famiglie italiane? Rispetto al 2008 hanno dovuto tagliare un mese di consumi e quest’anno hanno avuto bisogno di cinque giorni di lavoro in più per onorare i loro impegni con il Fisco. E se, in compenso, ai “risparmi” oggi dedicano quasi il doppio del tempo che all’inizio della crisi, questa propensione a non spendere reddito è una magra consolazione: più che frutto di una scelta d’investimento o di una congiuntura favorevole, è lo stato di necessità, accompagnato dalla preoccupazione di non sprecare tutte le cartucce finanziarie a disposizione, a imporre questo comportamento da formichine.
A pochi giorni di distanza dall’ultimo Rapporto del Centro studi Confindustria che già fotografava i «danni da guerra» subìti dall’economia italiana in questi anni di recessione (dal 2007 le famiglie italiane hanno tagliato acquisti per 5.037 euro in media all’anno), a confermare il difficile quadro arriva il “Consumer End Day”, elaborato dal Centro studi Sintesi, che passa idealmente ai raggi X le modalità d’impiego del reddito lordo delle famiglie italiane (due le tipologie considerate: coppia con un figlio e coppia con due figli, in entrambi i casi con genitori che non hanno perso il posto di lavoro), trasformando i valori economici in giorni di lavoro necessari per fare shopping, pagare imposte e contributi, mettere da parte un gruzzoletto.
«Per una corretta interpretazione dei dati – osserva Alberto Cestari, analista del Centro studi Sintesi e curatore del “Consumer End Day” – è giusto ricordare che l’obiettivo primario della ricerca rimane l’analisi della capacità di spesa in ogni singolo anno, indipendentemente dalle dinamiche registrate nelle precedenti annualità. Tuttavia è utile fare un confronto tra il 2008, anno di inizio della crisi, e il 2013, i cui dati rimangono, comunque, ancora non definitivi».
Guardando alla coppia con due figli (ma i valori non si discostano di molto anche per i nuclei con un solo figlio), il primo dato che balza agli occhi (vedi grafico a fianco) è «la rilevante flessione della spesa per consumi delle famiglie»: dai 248 giorni del 2008 agli attuali 219. «Il calo è confermato anche dalla tendenza dell’Iva – sottolinea Cestari -: il numero di giorni spesi per il pagamento dell’imposta si riduce da 27 a 22. Infatti, nonostante l’aliquota ordinaria sia aumentata due volte, nel settembre 2011 e nell’ottobre 2013, il gettito dell’Iva tra il 2008 e quest’anno è diminuito dell’8,1%: chiaro segnale di crisi dei consumi».
La sforbiciata – sempre per una famiglia con due figli – è abbastanza omogenea: cinque giorni in meno per alimentari e abbigliamento/calzature; quattro in meno per le spese d’arredamento. I sacrifici maggiori si registrano alla voce “Trasporti e comunicazioni” (otto giorni in meno) e pure per servizi e spese sanitarie si hanno 48 ore in meno a disposizione. Stabile invece (66 giorni, uno in meno rispetto al 2008) il tempo necessario per pagare le spese relative ad abitazione ed energia.
Nel contempo è aumentata la quota di reddito lordo famigliare destinata al pagamento delle imposte e dei contributi: dai 99 giorni di cinque anni fa ai 104 di oggi. La causa? «Tale dinamica – si legge nel report del Centro studi Sintesi – è in parte spiegabile con l’andamento dell’imposizione locale: secondo il nostro modello, il totale di quanto versato a titolo di addizionali Irpef, asporto rifiuti e Imu è aumentato del 45% per la coppia con un figlio e del 48% per la coppia con due figli».
Giunti a questo punto, tra spese per i consumi e prelievi fiscali, una famiglia italiana con due figli ha dovuto lavorare fino alla terza settimana di novembre. E la quarantina di giorni che mancano per arrivare al “brindisi” di San Silvestro? È «la quota di reddito non speso (in rapporto al reddito lordo)», che infatti sale dal 5,1% all’11,5% per la coppia con due figli.
«L’esercizio statistico – osservano dal Centro studi Sintesi – delinea, in buona sostanza, il profilo di una famiglia che non ha subìto direttamente le conseguenze negative della crisi, ma ha deciso comunque di “tutelarsi” riducendo in via prudenziale le risorse da destinare alla spesa, verosimilmente privilegiando il ricorso al risparmio. I dati sui depositi bancari lo confermano: secondo la Banca d’Italia, risultano in crescita di quasi il 13% tra settembre 2011 e settembre 2013».
Attenzione, però: non tutto il “reddito non speso” può essere considerato come risparmio, visto che – ricorda Cestari – «tali risorse residuali possono essere utilizzate per il pagamento di imposte minori non considerate nella nostra analisi». Non solo: è lo stesso Centro studi Sintesi a evidenziare «la crescente rilevanza del fenomeno della previdenza integrativa complementare, che potrebbe aver assorbito una quota non trascurabile del reddito famigliare».
Un nucleo familiare su cinque a rischio «default»
Più frammentata, invecchiata, meno attiva sul mercato del lavoro e quindi, inevitabilmente, in difficoltà sempre maggiore sul piano economico. È un identikit che non lascia spazio all’ottimismo quello tratteggiato da Italia Lavoro nel Rapporto annuale su «Famiglia e lavoro 2013», mettendo a confronto gli otto anni dal 2004 al 2012. Il risultato finale è che oggi le famiglie con almeno un componente in difficoltà sono il 20,7% del totale: 5.244.239 nuclei su 25.336.020. Una situazione, evidenziano da Italia Lavoro, in cui «gli aspetti problematici che contribuiscono a definire lo status di difficoltà sono riconducibili non solo alla semplice dimensione della disoccupazione, ma altresì ad alcune particolari forme di lavoro segnate da fragilità strutturali, come per esempio lavoratori a termine, in cassa integrazione, part-time involontari». Di questo insieme, una quota significativa di oltre 800mila famiglie si trova in «estrema» indigenza, con un componente alla ricerca di una nuova occupazione, avendo perso il precedente lavoro da un anno e più.
Con riferimento al pre-crisi (2007), il tasso di crescita è del 6,3% per le famiglie con almeno un individuo in difficoltà e dell’1,7% per quelle con forti handicap economici. In più, è alta la quota di famiglie a rischio default e con prole a carico: se infatti da un lato sempre più padri e madri perdono il lavoro, dall’altro sempre più figli faticano a uscire da casa e rendersi autonomi.
«Le famiglie – commenta Paolo Reboani, presidente di Italia Lavoro – sono colpite da fenomeni come lo scoraggiamento giovanile, l’inattività e la tendenza a rimanere nella casa dei genitori ben oltre i tempi fisiologici». Quasi due milioni di nuclei (l’8% del totale) “vantano” almeno un Neet ( Not in employment, education or training), appartenente al club di giovani al di fuori dei percorsi formativi e contemporaneamente privi di occupazione, e 250mila ne hanno addirittura più di uno. Se poi si considerano solo i nuclei che hanno al proprio interno ragazzi tra i 15 e i 29 anni emerge che quasi uno su tre (il 29%) ha un Neet a carico e sono oltre 600mila gli inattivi di questa età che non studiano. «Per invertire la tendenza – suggerisce Reboani – occorrerebbe un colpo di reni attraverso tutti gli strumenti di politica economica, ma sappiamo che le risorse disponibili non bastano a fronteggiare un’emergenza di questo genere. Una prima risposta potrà tuttavia arrivare dall’attuazione della Garanzia giovani, da gennaio 2014, con l’utilizzo di fondi europei e nazionali per allargare il bacino di utenza dei servizi per il lavoro e potenziare il ruolo della scuola come punto di primo orientamento».
Crescono le famiglie «sole»
Rispetto al passato, poi, dall’analisi di Italia Lavoro emerge una tendenza alla frammentazione delle famiglie italiane: la coppia con figli, infatti, pur rappresentando la quota maggioritaria, ha visto progressivamente diminuire il proprio peso sul totale (dal 42,5% del 2004 al 37% del 2012), mentre sono in forte crescita le «persone sole», che sono passate da poco meno di 5,7 milioni di unità del 2004 a circa 8 milioni del 2012, con un incremento complessivo di 40,1 punti percentuali. Gli squilibri demografici, con un aumento dell’invecchiamento della popolazione, hanno fatto aumentare a dismisura le famiglie costituite di soli “anziani” over 65: circa 4 milioni nel 2012. E così – sul mercato del lavoro – dai dati annuali emerge una lenta ma costante riduzione della partecipazione delle famiglie. «Il 60,8% rilevato nel 2012 – sottolineano da Italia Lavoro – si trova a valle di una contrazione che, seppur lieve, appare tuttavia significativa, pari al 3%».
In parallelo, la zona grigia della disoccupazione è tornata a espandersi negli ultimi cinque anni, erodendo i buoni risultati raggiunti negli anni precedenti: la quota di famiglie con almeno una persona in cerca di lavoro nel 2012 è pari al 9,4% del totale (quasi 2,4 milioni di nuclei), il 3,7% in più rispetto al 2004.
Il Sole 24 Ore – 30 dicembre 2013