Ieri, ai lavori della Consulta dei rappresentanti di tutte le associazioni dei veneti sparsi per il mondo, riunita a Cittadella, il presidente della Regione Luca Zaia (Lega) è intervenuto per spingere i corregionali all’azione di lobbying: «Un network straordinario — ha detto il governatore, che presiede la Consulta — che se ben organizzato può rivelarsi efficace come motore culturale per gli studenti e trampolino di lancio per gli imprenditori».
Zaia ha continuato: «Dobbiamo imparare dagli ebrei, non c’è nulla da inventare. Conosco bene la comunità ebraica, la frequento, la stimo e resto sempre stupito di come riescano non solo a rimanere in contatto e a coltivare la loro identità dovunque si trovino, ma anche di come siano solidali gli uni con gli altri e collaborativi. Ecco, vorrei che i veneti nel mondo fossero come gli ebrei nel mondo». Il governatore, infine, ha lanciato una battaglia contro la ministeriale Anagrafe italiani residenti all’estero: «Gli iscritti all’Aire acquistano il domicilio fiscale a Roma. Uno scandalo per ragioni identitarie ed economiche: una parte consistenze delle loro tasse, a cominciare dall’Irpef, si ferma nel Lazio anziché andare nei Comuni di origine, assai più bisognosi. Sarò primo firmatario di un progetto di legge per riportare il domicilio di chi risiede all’estero nei luoghi d’origine».
Zaia e l’uruguaiano Sacchet: superiamo l’amarcord. Un network (con sito e uffici) per studenti e imprese
La valigia di cartone, e va bene. La foto di mamma e papà col cappello di paglia in mezzo ai campi, e va bene. Il filò nella stalla, i fazzoletti sventolati al molo, i baci rubati dal finestrino del treno. Va tutto bene. Ma se ci si ferma al bianco e nero, i veneti nel mondo rischiano di morire di romanticismo, nostalgia e pure un po’ di noia. E noi con loro. Le foto sono belle, ma nel mezzo della Grande Crisi, ad un passo dal 2014, non si campa di soli ricordi né di qua, né di là dell’oceano. «L’amarcord è bello – ammette il governatore Luca Zaia – ma per piacere andiamo oltre». Come? Se n’è parlato ieri all’apertura dei lavori della Consulta in cui siedono i rappresentanti di tutte le associazioni dei veneti sparsi per il mondo, riunita a Cittadella per due giorni come ogni anno. Sono arrivati dal Brasile, dal Canada, dagli Stati Uniti, dall’Australia, dal Giappone, dalla Francia… ci fermiamo qui, sennò l’articolo non basta. D’altronde i veneti iscritti all’Aire, l’anagrafe dei residenti all’estero, sono 320 mila ma quelli censiti dalle associazioni, che tengono conto anche dei discendenti fino al quinto grado, superano i 6 milioni. Un Veneto fuori dal Veneto.
«Un network straordinario – sottolinea Zaia, che presiede la Consulta – che se ben organizzato e ben utilizzato può rivelarsi efficacissimo come motore culturale per gli studenti ma anche, e soprattutto, come trampolino di lancio per gli imprenditori». Non è un caso che in platea sedesse il leader di Confartigianato, Giuseppe Sbalchiero. «Dobbiamo imparare dagli ebrei, non c’è nulla da inventare – prosegue Zaia -. Conosco bene la comunità ebraica, la frequento, la stimo e resto sempre stupito di come riescano non solo a rimanere in contatto e a coltivare la loro identità dovunque si trovino, ma anche di come siano solidali gli uni con gli altri e collaborativi. Ecco, vorrei che i veneti nel mondo fossero come gli ebrei nel mondo». Un esempio concreto di come possa operare questo network lo tratteggia Luciano Sacchet, discendente di bellunesi, imprenditore in Uruguay, vice presidente della Consulta: «Il mercato del Sudamerica si sta espandendo in modo straordinario e posso assicurare che ancora non si è visto nulla delle potenzialità di quel continente. Ebbene, se un’impresa veneta volesse vendere i suoi prodotti in Brasile troverebbe difficoltà insormontabili, a cominciare dai dazi. Ma se quella stessa impresa potesse contare su una filiale in Uruguay, allora entrerebbe nel Mercosur (il mercato latinoamericano, ndr.) e il problema sarebbe risolto. E noi siamo pronti a prenderci parte del rischio». Per intendersi: in Brasile, dove esiste un vero e proprio «Stato Veneto», il Rio Grande do Sul (la sua capitale è Caxias do Sul, dove ancora si parla il talian derivato dal nostro dialetto, ma c’è pure una Nova Bassano), il mercato conta 200 milioni di potenziali clienti. La vicina Argentina è a quota 45 milioni. «Altro che spreco – taglia corto Sacchet con orgoglio – noi per i veneti siamo una risorsa».
Fabio Gazzabin, capo di gabinetto e braccio operativo di Zaia, dovrà farsi carico di portare sulla Terra le buone intenzioni che oggi viaggiano nell’iperuranio («Se serve ci mettiamo soldi in bilancio, non c’è problema» l’ha rassicurato Zaia). Non si parte da zero: c’è la Consulta, ci sono gli uffici in Regione e c’è un sito in via di espansione, globalven.com, che diventerà il luogo virtuale in cui far incontrare studenti e imprenditori, mettendo in contatto chi sta per partire con chi è pronto a dargli una mano. Basta scorrerlo rapidamente per accorgersi che Antonio Tomba, «il padre del vino argentino», e Geremia Lunardelli, «il re del caffè», oppure l’ex sindaco di Sidney Frank Sartor o l’ex ministro brasiliano Luiz Fernando Furlan, sono soltanto le punte di diamante di una storia che continua ancor oggi con imprenditori, medici, avvocati, architetti, ingegneri, chef. L’ondata migratoria del Duemila può avere partenze e approdi assai diversi da quelli delle tre che l’hanno preceduta, a fine Ottocento e poi nel primo e nel secondo dopoguerra. «Ci sono ragazzi che lavorano a Bruxelles e ogni domenica pranzano a casa con mamma e papà…» sorride Zaia, mentre Sacchet punge: «Qui c’è troppo individualismo, dovete recuperare lo spirito di comunità e solidarietà che noi all’estero conserviamo ancora forte. La crisi? Quella che state vivendo in Italia non è neppure paragonabile alle tre che abbiamo sofferto noi in Sudamerica negli ultimi anni, quando le banche chiudevano dalla sera alla mattina. Quelle sì che erano crisi…». Il governatore abbozza ma non sembra tanto convinto. Poi coglie l’occasione per lanciare una nuova battaglia, si vedrà con quali fortune: «Gli iscritti all’Aire acquistano di default il domicilio fiscale a Roma. Uno scandalo non solo per ragioni identitarie ma anche economiche, perché così una parte consistenze delle loro tasse, a cominciare dall’Irpef, si ferma nel Lazio anziché andare nei Comuni di origine, assai più bisognosi. Sarò dunque primo firmatario di un progetto di legge volto a riportare il domicilio di chi ha scelto di risiedere all’estero nei veri luoghi da cui è partito».
Marco Bonet – Corriere del Veneto – 24 novembre 2013