In ballo ci sono due miliardi e mezzo: sono quelli che le casse pubbliche a inizio anno contavano di incassare con la seconda rata dell’Imu sull’abitazione principale. La dichiarazione con cui l’altro ieri il ministro Saccomanni ha segnalato le difficoltà che porrebbe ai conti dello Stato l’abolizione del tributo ha creato l’ennesimo fronte di fibrillazione politica.
Ieri abbiamo evidenziato come il mantenimento della seconda rata del tributo nei Comuni come Milano, intenzionati ad elevare l’aliquota per l’abitazione principale al massimo di legge, avrebbe un effetto paradossale: i contribuenti per una sola rata finirebbero quest’anno per pagare più (e precisamente 100 euro nel capoluogo lombardo) di quanto hanno speso nel 2012 per l’intero tributo. Ritorniamo sulla questione ricapitolando la storia tormentata dell’Imu negli ultimi mesi. A inizio anno l’abolizione dell’Imu sull’abitazione principale per il 2013 era tema della campagna elettorale ma non era prevista da alcuna legge (e non lo è nemmeno allo stato attuale).
Il primo colpo di scena arriva con la conversione parlamentare del decreto salda-debiti del governo Monti: viene aggiunto un comma, il 13 bis, all’articolo 10 , con cui si stabilisce che la prima rata dell’Imu 2013 sarà pari alla metà dell’imposta calcolata con le aliquote 2012 e che il saldo sarà effettuato sulla base delle aliquote in vigore per quest’anno conguagliando quanto versato per la prima rata. Segue un’altra raffica di modifiche che portano i termini per approvare le delibere Imu in un primo momento al 30 settembre, poi al 30 novembre, con obbligo di pubblicazione entro il 9 dicembre (una settimana prima del termine ultimo per pagare).
Il pagamento della prima rata del tributo è stato abrogato con l’approvazione parlamentare del decreto 102. Resta il fatto che, allo stato attuale, se non si abroga la seconda rata dell’Imu o se non si stabiliscono modalità diverse di calcolo (che comunque avrebbero un peso sui conti pubblici) valgono le regole stabilite dal decreto salda-debiti. E quindi importo pari all’imposta piena per quest’anno meno la prima rata.
Più accise, Irpef e Tasi per l’addio all’Imu. La copertura non è un problema della Ragioneria, ma dei contribuenti
Incremento probabile dalla clausola di salvaguardia per l’abolizione dell’acconto Incerta la compensazione del saldo ad aliquote 2013
Quello della «copertura» non è un problema della Ragioneria generale, ma dei contribuenti: dietro al complicato tramonto dell’Imu e al debutto della Tasi si nascondono infatti almeno tre rischi fiscali.
Il primo è legato alle «coperture» della prima rata Imu, quella che non è stata pagata a giugno per 2,43 miliardi di euro: è concretissimo il rischio che una quota delle entrate compensative, in primis i 600 milioni di euro attesi dal “concordato” con i gestori di slot machines, manchino all’appuntamento, con la conseguenza di far scattare la clausola di salvaguardia che interviene su acconti fiscali e accise.
Problemi analoghi si addensano sulla seconda rata. Il Governo cerca, con difficoltà, una copertura da circa 2 miliardi di euro, richiamando al pagamento fabbricati e terreni agricoli, i Comuni si aspettano una dote maggiore e finora la questione è stata cautamente lasciata in sonno. La distanza fra i calcoli del Governo e le aspettative dei sindaci nasce dal fatto che molti Comuni, a partire da città come Milano, Bologna, Verona, Brescia, Ancona e Napoli, nel 2013 hanno alzato l’aliquota sull’abitazione principale per far quadrare i conti. Se l’indennizzo statale sarà calcolato sulle aliquote 2012, si apriranno buchi (solo a Milano la partita vale oltre 100 milioni, e a livello nazionale pesa per almeno 3-400 milioni) nei bilanci che i sindaci dovranno chiudere in qualche modo: interventi come l’addizionale Irpef (per chi ha ancora spazi in aumento) o altri ritocchi alle tariffe potrebbero rappresentare l’unica strada per aumentare le entrate a poco più di un mese dalla chiusura dell’anno.
Il passaggio alla Tasi, il tributo sui servizi locali previsto dal 7 La Tasi è la tassa sui servizi indivisibili prevista dalla legge di stabilità per aggiungersi all’Imu (tranne che sulla prima casa non di pregio) e sostituire la Tares. Avrà un’aliquota di partenza dell’1 per mille che si sommerà al tetto massimo dell’Imu. Nel 2014, secondo il Ddl stabilità, sull’abitazione principale non potrà superare il 2,5 per mille, ma il Parlamento progetta nuovi cambiamenti
Il ritorno alla Tarsu, previsto dalla legge di conversione del decreto «Imu-2» (articolo 5, comma 4-quater del Dl 102/2013) anche per rimandare i super-aumenti destinati ad attività produttive e famiglie numerose, non potrà essere sfruttato dai Comuni che hanno già approvato il preventivo 2013. Dovrebbe essere questo l’orientamento del dipartimento Finanze, in una risoluzione in arrivo che a quan2014, non è più tranquillo. Anche da questo punto di vista il problema di fondo è il concetto di «aliquota standard». La nuova Tasi, aiutata dal miliardo di euro assegnati al Fondo di solidarietà comunale, «pareggia» con l’Imu sull’abitazione principale prodotta appunto dall’aliquota standard (4 per mille), ma non con quella effettiva scritta nei bilanci locali e “gonfiata” dalle scelte operate dai sindaci. In metà dei Comuni, e in tutte le grandi città, l’aliquota Imu sugli immobili diversi dall’abitazione principale è già al massimo per cui la Tasi, che sommata all’Imu non potrà superare l’11,6 per mille, sarà di fatto congelata al livello standard dell’1 per mille. La leva fiscale libera, quindi, si scaricherà sull’abitazione principale, moltiplicando il rischio di aumenti spesso già presente al livello di base.
Ma, secondo i calcoli presentati ieri mattina dall’Anci ai relatori e ai capigruppo in Senato, in 400 Comuni (soprattutto quelli medio-grandi) nemmeno l’aumento al 2,5 per mille delle richieste sull’abitazione principale basterebbe a far quadrare i conti: in un quadro come questo, l’introduzione delle detrazioni (richiesta sia da Pd sia da Pdl) per evitare di far pagare la Tasi ai 5 milioni di immobili sempre stati esenti dall’Imu, comporta costi ulteriori, che rischiano di far salire anche i tetti massimi per l’aliquota. to si apprende limiterà l’opzione ai sindaci ancora in alto mare con i conti. Agli altri dovrebbe essere consentito solo di rivedere i parametri Tares alla luce degli ultimi correttivi. In questo caso, andrà adottata una variazione di bilancio, con le stesse procedure previste nel 2011 quando si uscì progressivamente dal blocco delle addizionali (risoluzione 1/2011).
Corriere e Sole -7 novembre 2013