Una nuova manovrina per non sfondare il tetto del 3%. Il governo pronto ad anticipare alcune entrate, sottraendole però al prossimo anno
ROMA – Ad alcuni degli investitori che ha visto a Londra nei giorni scorsi, Fabrizio Saccomanni ha dato l’impressione di sempre. Un uomo calmo in qualunque situazione.
Si mostrava tranquillo poco più di un anno fa, da direttore generale della Banca d’Italia, quando lo spread fra i Bund tedeschi e i Btp superava quota 450 e i suoi interlocutori della City credevano che l’euro stesse andando in frantumi. Non c’è ragione per cui non dovrebbe esserlo ora, da ministro dell’Economia, con lo spread sotto quota 250. Che il suo governo stia per varare quella che di fatto diventerà la seconda manovra correttiva in due mesi, non è ragione sufficiente perché Saccomanni riveli agli altri la frustrazione che a volte deve provare. Il fatto che abbia la fiducia di Giorgio Napolitano e un solido rapporto di stima con Mario Draghi, con cui ha lavorato a lungo in Banca d’Italia, non rende il ministro automaticamente più ascoltato nel mondo della politica.
Non c’è dubbio che Saccomanni avesse visto arrivare da tempo gli eventi che si metteranno in moto nelle prossime due settimane. Era chiaro da maggio scorso che cancellare l’Imu sulla prima casa, una tassa da 4,4 miliardi, avrebbe spinto il deficit oltre il 3% del Pil. Si è riusciti ad attutire l’impatto della revoca della prima rata, ma il colpo di spugna sui 2,4 miliardi della seconda si è rivelato impossibile da assorbire. Adesso, a poco più di un mese dal giorno in cui in teoria i proprietari di immobili dovrebbero pagare l’imposta,
Saccomanni e l’intero governo sono di fronte a un dilemma senza soluzioni facili. Se anche la seconda rata viene abolita, le conseguenze sono prevedibili: il disavanzo supera il 3%, l’Italia torna in procedura per deficit eccessivo a Bruxelles, dunque perde spazio per fare tre miliardi di investimenti non coperti a bilancio sul 2014 e l’infrastruttura dell’intera legge di Stabilità appena varata salta. Se invece la seconda rata dell’Imu non venisse abolita, per i politici del Pdl (e del Pd) che lo avevano promesso l’affronto sarebbe intollerabile. Saccomanni cammina fra due proposizioni impossibili.
L’unico modo di uscirne è raccogliere in qualche altro modo gli oltre due miliardi che vengono meno rinunciando alla seconda rata dell’Imu. Anche però qui il ventaglio delle ipotesi diventa sempre più ristretto. Poiché l’anno ormai volge al termine, né un taglio alla spesa corrente né un inasprimento fiscale (per esempio, sulle accise) può generare risorse sufficienti a colmare il buco di bilancio entro il 2013. Non resta dunque che imporre agli italiani degli acconti fiscali, ossia degli anticipi a dicembre di alcune tasse che sarebbero state dovute nel 2014.
I tecnici del ministero dell’Economia sono al lavoro per capire su quali imposte si possono concentrare questi acconti. Sembra escluso che possano riguardare il fisco sugli immobili, perché il tutto avrebbe l’aria di una beffa incomprensibile. È molto probabile dunque che l’anticipo sulle tasse riguardi le imposte sui redditi delle persone o imposte su certe categorie di imprese. Qualcuno, quanto a questo, ha già cominciato a guardare alle banche.
Saccomanni sembra determinato a procedere in base allo stesso metodo che ha portato a sostituire l’Imu con la service tax sugli immobili: il Tesoro presenterà una lista di ipotesi e dovrà poi essere la politica a prendersi la responsabilità di decidere quali contribuenti colpire. Di certo tutto dovrà avvenire rapidamente, fra una o due settimane al massimo. Una manovra correttiva del genere, dopo quella del 9 ottobre, avrà infatti un ulteriore effetto collaterale: poiché anticipa certe entrate a quest’anno, sottraendole però al prossimo, di nuovo rimette in questione l’impianto della Legge di stabilità sul 2014. Ma entro questo mese la Commissione Ue e l’Eurogruppo dei ministri finanziari devono dare un parere vincolante sul bilancio italiano del prossimo anno, dunque i tempi per rivedere le misure e rimandare il pacchetto a Bruxelles sono ormai strettissimi.
Non era così che doveva andare. Quando il 28 agosto annunciò l'”abolizione” dell’Imu (poi mai davvero formalizzata per la seconda rata), il premier Enrico Letta disse che le coperture sarebbero arrivare in ottobre “senza aumenti di tasse”. Il vicepremier Angelino Alfano aggiunse che la tassa è stata “tolta nel modo giusto, senza sostituirla con altre”. Difficile capire come questa serie di annunci a vuoto, incertezze, incoerenze e navigazione a vista sulle imposte da pagare produca fiducia fra gli italiani e una ripresa economica. Su questo sì che Saccomanni, prima o poi, potrebbe perdere la calma.
(07 novembre 2013) – Repubblica