di Donatella Stasio. Decisione scontata quella della Corte d’appello di Milano che, quasi salomonicamente, ha optato per un’interdizione di due anni dai pubblici uffici (la scelta era da 1 a 3 anni).
Peraltro, anche se l’entità della pena accessoria fosse stata di un anno, l’impatto sul futuro parlamentare o governativo di Silvio Berlusconi sarebbe stato comunque di 6 anni, poiché in base al decreto Severino (articolo 13) la durata dell’incandidabilità (anche sopravvenuta) non può essere, «in ogni caso» (persino in assenza di una pena accessoria), inferiore a 6 anni. Quindi, se il Senato voterà la decadenza proposta dalla Giunta, l’interdizione dai pubblici uffici sarà irrilevante in quanto assorbita dalla decadenza già deliberata. Al contrario, diventerebbe rilevante nell’ipotesi (allo stato remota) in cui l’Aula respingesse la proposta della Giunta, mantenendo Berlusconi nel suo seggio di senatore: a quel punto il Senato dovrebbe valutarne l’estromissione dal Parlamento in base all’interdizione dai pubblici uffici comminata dal giudice, sia pure solo per due anni. Preliminarmente va detto che la sentenza della Corte d’appello, quando sarà depositata (si presume rapidamente), sarà impugnata in Cassazione e diventerà definitiva dopo la parola della suprema Corte, tra dicembre 2013 e febbraio 2014. Solo allora l’interdizione diventerà esecutiva e concorrerà con la decadenza prevista dalla Severino. Si tratta infatti di due “titoli” autonomi, con ambiti di applicazione diversi: più ampio (anche se temporalmente può essere più ridotto) quello dell’interdizione perché non incide solo in ambito parlamentare, regionale, europeo e di governo, ma riguarda l’esercizio di qualunque funzione pubblica. Nel caso di Berlusconi, tuttavia, vi sarebbe una sostanziale sovrapposizione. In teoria, la sentenza sull’interdizione diventerà definitiva dopo la delibera del Senato sulla decadenza, prevista al massimo per dicembre. Se la maggioranza voterà la proposta della Giunta, Berlusconi decadrà dal seggio di senatore e la sentenza di interdizione sarà irrilevante perché Palazzo Madama dovrà prendere atto che manca il presupposto per la sua applicazione, visto che l’ex premier non è più senatore e non potrà ricandidarsi per sei anni. Altro scenario. L’Aula del Senato respinge con voto segreto la proposta di decadenza di Berlusconi. Nel momento in cui la Cassazione conferma la sentenza sull’interdizione per due anni, la Giunta delle immunità deve, però, tornare a riunirsi per valutare l’estromissione dell’ex premier dal Parlamento sulla base di questo titolo autonomo. Se dovesse convalidarla anche in Aula, Berlusconi decadrebbe da senatore e sarebbe incandidabile per due anni. Ovviamente, se la maggioranza fosse contraria o se per una ragione o per l’altra l’Aula non si pronunciasse, l’ex premier rimarrebbe al suo posto. Potrebbe ricandidarsi? Sicuramente no se si andasse al voto entro il 2016 (due anni dal passaggio in giudicato della sentenza sull’interdizione), ma probabilmente no anche sulla base del decreto Severino, che gli precluderebbe di candidarsi (e di accedere a cariche di governo) per 6 anni dalla sentenza Mediaset, cioè fino al 2019.
C’è infine un altro capitolo, quello dell’eventuale estinzione della pena accessoria se interviene un fatto estintivo del reato come l’amnistia (improbabile per un reato come la frode fiscale) oppure estintivo della pena, come un indulto che includesse espressamente anche le pene accessorie (quello del 2006, pur facendo rientrare la frode fiscale tra i reati indultabili fino a tre anni, le teneva fuori). Inoltre, è aperta in giurisprudenza la questione se le pene accessorie rientrino tra gli effetti penali della condanna che si estinguono con l’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale. Quindi, se Berlusconi sconterà ai servizi sociali l’anno residuo della condanna Mediaset, al termine potrebbe vedersi estinta l’interdizione di due anni dai pubblici uffici.
Il Sole 24 Ore – 20 ottobre 2013