Il ministero considera «superati» gli accordi che prevedevano una riduzione dei limiti imposti dalla legge 92/2012. Gli intervalli minimi tra due contratti a termine, fissati dal decreto legge 76/2013 in 10 e 20 giorni, possono essere ridotti, azzerati o incrementati. A precisarlo è la nota 31/0005426 del ministero del Lavoro datata 4 ottobre.
La legge 92/2012 aveva portato a 60 e 90 giorni l’intervallo minimo che doveva trascorrere tra due contratti a termine sottoscritti tra lo stesso datore di lavoro e un dipendente affinché il secondo non fosse considerato a tempo indeterminato (60 giorni se il primo contratto aveva durata fino a 6 mesi, 90 se li superava). Gli accordi stipulati dalla contrattazione collettiva, però, potevano ridurre tali intervalli a 20 e 30 giorni, cosa che in diversi settori è avvenuta.
Il provvedimento era stato promosso dall’allora ministro del Lavoro Elsa Fornero con l’obiettivo di contrastare il ricorso all’utilizzo ripetuto del contratto a termine in sostituzione dei rapporti a tempo indeterminato, ma il consistente incremento del periodo minimo era stato fortemente criticato.
Il ministero con la nota pubblicata ieri fornisce risposta al quesito se tali accordi siano ancora efficaci o se siano stati superati dal Dl 76/2013 che ha portato l’intervallo minimo a 10 e 20 giorni.
Sull’argomento, in realtà, il ministero aveva già fornito risposta al quesito inviato da un’azienda (si veda il Sole 24 Ore di giovedì), affermando che i periodi di sospensione individuati dalla contrattazione collettiva prevalevano su quelli fissati dal decreto legge 76/2013.
Nella nota di ieri viene affermato che la regolamentazione contrattuale definita negli accordi in base alla legge 92/2012 «appare oggi superata a seguito del più recente intervento normativo che ha ridotto “in via ordinaria” lo spazio temporale tra due contratti a 10 e 20 giorni, superando – e in qualche modo “vanificando” – gli interventi di flessibilizzazione già posti in essere ed inevitabilmente legati a minimi di durata legale dell’interruzione (20 e 30 giorni) superiori agli attuali periodi normativamente previsti».
Il ministero, però, va oltre il quesito specifico e fornisce indicazioni anche per quanto riguarda gli accordi collettivi stipulati dopo l’entrata in vigore del Dl 76/2013 (il 28 giugno).
La nota precisa che le intese potranno prevedere una riduzione o un azzeramento dei periodi di 10 e 20 giorni con effetti “normativi” nei confronti di tutti i soggetti rientranti nel campo di applicazione degli accordi.
Il ministero, quindi, interpreta in senso ampio il dettato normativo in base al quale i limiti di 10 e 20 giorni non si applicano «in relazione alle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
Una previsione che dagli addetti ai lavori è finora stata letta come la possibilità di azzerare gli intervalli minimi, ma non di ridurli, al pari di quanto avveniva in passato.
Sempre riguardo al periodo di sospensione, la nota del ministero precisa infine che la contrattazione collettiva, nella sua autonomia, può prevedere intervalli anche superiori ai minimi di legge (quindi, per esempio, di 20 e 30 giorni, come negli accordi siglati nel recente passato), ma che tali disposizioni trovano applicazione solo tra le parti stipulanti.
Dunque tramite contrattazione collettiva è possibile ridurre, azzerare o incrementare i periodi minimi che devono trascorrere tra un contratto a termine e l’altro affinché il secondo non venga considerato a tempo indeterminato.
Il Sole 24 Ore – 6 ottobre 2013