Il governo starebbe pensando di rinunciare allo stop dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22% e di consentire il passaggio alla nuova aliquota già dal primo ottobre. La decisione sarebbe maturata ieri al termine degli incontri tra il premier Enrico Letta, il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni e il commissario europeo Olli Rhen giunto in Italia per un’audizione parlamentare.
Le teorie economiche europee, rimarcate ieri dal commissario, invitano gli Stati membri a spostare la tassazione dal lavoro e dalla produzione al patrimonio e ai consumi per rilanciare la crescita. Dalle persone alle cose insomma. E già forte è stata ieri la critica di Rehn al decreto per l’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Così il governo, con la pressione dell’Ue sul collo, starebbe valutando l’idea di aumentare l’Iva, risparmiando 1 miliardo per il rinvio fino a dicembre e altri 4 miliardi per il 2014. E le reazioni Pdl? Finirebbero nel calderone del voto in Senato per l’incandidabilità di Silvio Berlusconi. Un grande falò politico dove alla fine il governo rimarrebbe comunque in piedi.
Olli Rhen, 51 anni, economista e politico liberal-riformista finlandese da 15 anni al Parlamento europeo dove adesso è vicepresidente della Commissione e commissario agli Affari economici e monetari, invitato a parlare a un’audizione alla Camera esprime con grande chiarezza il suo giudizio. Critica la decisione di abolire l’Imu sulla prima casa e sprona l’Italia a procedere sulle riforme e il risanamento usando come metafora il Cavallino rampante: «È come la Ferrari per stile e capacità ma ora le occorre un motore più competitivo, inutile perdere tempo ai pit stop». In mattinata ha avuto un colloquio con Saccomanni dal quale ha avuto l’ennesima garanzia che non verrà superata la soglia del 3% del rapporto tra deficit e Pil.
Ma è la sua bocciatura dell’Imu — «Suscita preoccupazione in Europa perché va nella direzione opposta alle nostre raccomandazioni» — a scatenare reazioni scomposte in zona Pdl. «È ora di finirla con i caporali di giornata come questo Rehn — ha affermato sdegnato il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri — è la gente come lui che ha distrutto l’Europa, burocrati ottusi che uccidono i popoli a causa di politiche economiche fallimentari, è una persona sgradita, prenda l’aereo e torni a casa». Il Movimento 5 Stelle, con Paola Carinelli, si è limitato a sottolineare «l’ingerenza di Rhen che viene a parlarci di stabilità in un momento così delicato». Ringraziamenti invece «per la sua lucida analisi» da parte del presidente della commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia. L’ex premier Mario Monti si è sentito in dovere di telefonare personalmente a Rhen per esprimergli «rispetto e solidarietà» anche a nome di Scelta Civica per le espressioni incivili di cui è stato oggetto. Anche Luca di Montezemolo, tirato indirettamente in ballo grazie al paragone con la Ferrari, risponde al commissario europeo riconoscendo che «L’Italia, come la Ferrari, è un Paese forte e competitivo» ma subito dopo aggiunge: «Visto che è l’Europa a dettare le regole non deve coltivare il mito del rigore quando è fine a se stesso, perché di troppo rigore si muore come hanno ben capito tra gli altri Giappone e Stati Uniti».
Nel suo lungo intervento Rehn ha insistito che sull’Imu «la Commissione ha il dovere di chiedere correzioni quando gli Stati membri prendono decisioni non coerenti con gli impegni assunti a Bruxelles» ma si è detto speranzoso che la «nuova service tax potrebbe, se configurata bene, essere coerente con le raccomandazioni di Bruxelles». L’economista finlandese — nel suo passato anche un ruolo come calciatore professionista — si è anche soffermato sul sorpasso della Spagna sull’Italia in zona spread, anche grazie alla riforma del lavoro, e sulla scelta di Roma di non proseguire nelle dismissioni per un punto di Pil già da quest’anno. Ma complessivamente il giudizio del commissario europeo non è negativo. Ha detto che «l’Italia non ha bisogno di alcun salvataggio delle sue banche da parte dell’Europa» e che non vuol far «l’uccello del malaugurio». Nel senso che se il nostro Paese farà infrazioni subirà le sanzioni ma si è detto «sicuro che il governo e le istituzioni italiane sapranno rispettare gli impegni presi».
Il governo cerca un miliardo. Così cambia il paniere
Le perplessità di Enrico Letta e di Fabrizio Saccomanni, dovute agli scarsissimi margini di bilancio, le pressioni ormai quotidiane dell’Ue, la disponibilità di Confindustria e oggi l’apertura, seppur condizionata, della Cisl di Raffaele Bonanni. L’aumento dell’Iva che pende ormai da quasi due anni sulla testa degli italiani si avvicina a passo spedito, e forse già dal primo ottobre l’aliquota ordinaria potrebbe salire di un punto, al 22%, come già previsto dalla legge. Insieme a qualche modifica che renda meno amaro il boccone per i consumatori. Per evitare l’aumento servirebbe un miliardo per gli ultimi tre mesi di quest’anno e 4 miliardi all’anno dal 2014, ma il governo non ha al momento queste disponibilità. Mentre per il Consiglio e la Commissione Ue l’aumento dell’Iva è necessario non solo per assicurare i conti pubblici, ma anche per rilanciare la crescita, «spostando la tassazione dal lavoro ai consumi». L’operazione si accompagnerebbe al taglio del cuneo fiscale in programma nel 2014, ma politicamente l’operazione resta difficilissima perché incontra le resistenze di Pdl e commercianti. E così, come per l’Imu, si fa strada l’ipotesi di una riforma complessiva dell’imposta sui consumi che garantisca lo stesso gettito, 4 miliardi l’anno, facendo non troppo male. Come? Spostando alcune categorie di beni tra un’aliquota e l’altra, cercando di minimizzare l’impatto sull’inflazione. I margini per razionalizzare l’Iva almeno teoricamente sono ampi. L’aliquota minima suggerita dalla Ue, per esempio, è il 5% mentre da noi è il 4%. Alcuni prodotti vengono tassati con aliquote diverse in funzione del loro confezionamento e della distribuzione e sul pane si può pagare il 4, il 10, il 21% di Iva a seconda di cosa contiene e di dove si compera. Per altre categorie, come frutta e verdura, l’Iva è un rebus, e lo testimoniano le decine di interpelli rivolti all’Agenzia delle Entrate. Un aumento accompagnato dal riordino delle aliquote, e l’effetto di redistribuzione del carico fiscale su diverse tipologie di consumo, aiuterebbe a contenere l’impatto sui contribuenti. I consumatori di beni di lusso ed energivori, probabilmente, sarebbero colpiti più di altri. Lo scambio sarebbe rappresentato dal taglio del cuneo: più soldi in tasca ai lavoratori, e più margini alle imprese per gli ivestimenti, tagliando le tasse e i contributi sul lavoro.
Mario Sensini e Roberto Bagnoli- Corriere della Sera – 18 settembre 2013