Parole di miele, per gli imprenditori e i banchieri convenuti a Cernobbio. Che sono i primi a sapere quanto sia faticoso spiegare all’estero le ragioni del «perenne terremoto politico italiano» come lo ha definito ieri Enrico Letta.
E che nei primi due giorni del tradizionale Forum dell’Ambrosetti avevano fatto trapelare sui giornali la loro stanchezza e ira, a tratti, per l’ennesima prospettiva di un precipitare degli eventi. Così, alla vigilia del lunedì più difficile da quando è presidente del Consiglio, Letta rassicura la platea che è intenzionato a spezzare le «catene» della perenne precarietà dei governi italiani e del «caos permanente» che regna nei palazzi romani.
Un caos che ci costa molto anzitutto in termini di «interessi da pagare» sul debito pubblico: «l’instabilità è la luna, e la stabilità il sole», ha chiosato il capo del governo, e nella situazione delicata in cui si trova il Paese «le risposte tradizionali non bastano: siamo qui per una svolta, non per traccheggiare». Letta ostenta sicurezza nel prospettare una possibile «svolta» del Paese fuori dalla tradizione del galleggiamento, e parla chiaramente da capo del governo destinato a durare, non certo a cadere a brevissimo sul titanico ostacolo della decadenza di Berlusconi. Letta non lo cita mai – quasi un atto simbolico in una manifestazione come quella di Cernobbio dove il Cavaliere era ospite fisso e dove è quasi sparito persino dai conversari a margine.
Il presidente del Consiglio insiste: basta «farsi bloccare dai veti e dall’eterno ritorno della conservazione», ha scandito durante il suo intervento a porte chiuse, ma trasmesso nella sala stampa di Villa d’Este. Il numero uno del governo scansa dunque gli ostacoli all’orizzonte, si dice «stradeterminato» a non farsi imbrigliare dai focolai di crisi, ma anche dalla rissa nel suo partito: «figuriamoci se posso occuparmi del congresso (del Pd, ndr): non posso occuparmene, non me ne occuperò», sottolinea.
La maggioranza non può non tenere conto dei due «terremoti» che hanno cambiato per sempre fisionomia alla politica italiana nella scorsa primavera. La «prima volta» che un partito ha raggiunto alle prime elezioni il 25% dei voti, il Movimento 5 Stelle, e la disastrosa dinamica delle votazioni per il Colle, con il risultato, dice Letta con un chiaro sollievo, della rielezione «del più grande degli italiani», Giorgio Napolitano. E gettando lo sguardo già al 2014, Letta promette un cambio di marcia per il semestre di presidenza italiano che «avrà la parola “crescita” al centro». Senza una prospettiva di ripresa vera, duratura, incalza il premier, i populismi che si sono affacciati un po’ in tutti i Paesi del vecchio continente rischiano di regalarci l’anno prossimo, alle elezioni europee, «il Parlamento più antieuropeista di sempre».
Per il governo italiano, l’agenda delle cose da fare, intanto, è fitta: anzitutto la Costituzione, che a dispetto dell’occupazione-lampo del tetto di Montecitorio da parte dei grillini «va cambiata» perché non prevalga la «conservazione»: perché il sistema bicamerale funziona male e i parlamentari sono troppi. Anche sul finanziamento pubblico dei partiti, Letta invita tutti a «fare presto» e a mantenere l’impegno «assunto con i cittadini entro l’autunno». Sul rimborso dei crediti della P.A alle imprese «mi faccio garante io del fatto che ogni settimana si riesca a dire che cosa si è fatto in termini di cifre», ha scandito.
Il capo del governo ha citato infine il piano “Destinazione Italia” che partirà questo mese, tra l’altro con «un grande pacchetto di dismissioni, per attrarre investimenti» . Ma ha evocato anche i grandi temi del G20 di quest’anno: «la lotta a evasione ed elusione» e ha ribadito l’impegno «per i giovani», sulla digitalizzazione, e sul miglioramento della giustizia civile. Letta è tornato anche sul tema chiave della riduzione del cuneo fiscale, una misura attraverso la quale il governo intende aiutare «chi ha voglia di fare».
La Stampa – 9 settembre 2013