Silvia Cappellozza, direttrice dell’unità sperimentale di bachicoltura della sede di Padova del Cra (Centro ricerche agricoltura), spiega il forte interesse verso la seta dell’industria biomedica e dell’ingegneria tissutale
Tornare ad allevare bachi da seta, attività molto diffusa in Italia fino alla seconda metà dell’Ottocento, potrebbe rivelarsi redditizio, sia per la produzione di seta, tessuto sempre più richiesto, ma anche per attività in campo medico e cosmetologico, in ragione di proteine preziose (fibroina e sericina) che compongono il filamento serico, utili ad esempio per realizzare il filo da sutura usato in chirurgia ma anche creme e unguenti cosmetici. Tra i “nuovi” mestieri legati al settore agricolo (tra i pochi a registrare aumenti di occupazione nonostante la crisi), rispunta così quello del bachicoltore, mestiere antichissimo che affonda le sue origini nella Cina millenaria.
DINAMICHE DI MERCATO. ”La domanda di seta è sempre più alta, si tratta di un mercato di nicchia di lusso al quale finora la Cina ha risposto con una produzione concorrenziale che ha stracciato tutti i concorrenti”, spiega Silvia Cappellozza, della sede di Padova del Cra (centro ricerche agricoltura) dove dirige l’unità sperimentale di bachicoltura. Ma ora il benessere che si sta diffondendo nel paese sta spingendo la bachicoltura nelle zone più povere a nord ovest della Cina, dove il clima è ostile e mancano addetti con le competenze necessarie al delicato compito. ”Il calo della produzione cinese di seta sta preoccupando molto la filiera tessile, comprese le aziende italiane” dice Cappellozza.
UN BUSINESS? La domanda sorge spontanea: investire sull’allevamento dei bachi conviene? ”Le premesse ci sono tutte – risponde la ricercatrice – I primi nuclei di bachicoltori si stanno diffondendo, e sono molti più tecnologici dei loro bisnonni”. Al momento in Italia sono almeno una ventina, di cui solo un quarto da almeno due anni; anche l’allevamento del bozzolo resta un’attività piuttosto diffusa a livello amatoriale. Tra costi di impianto e di produzione, per partire serve un capitale iniziale di circa 10mila euro.
SVARIATI CAMPI DI APPLICAZIONE. C’è un forte interesse dell’industria biomedica e dell’ingegneria tissutale per un utilizzo esteso della seta ad altri prodotti, come protesi vascolari, membrane per la riparazione delle cornee danneggiate o anche lenti a contatto di ultima generazione, alternative al vetro o alla plastica. Non solo. La seta dei bachi può essere impiegata anche per le creme. I pigmenti contenuti nella sericina sono i carotenoidi, che vantano una forte azione antiossidante, e i flavonoidi antiossidanti ed antibatterici. Per questo la sericina viene utilizzata per creme, lozioni, shampoo, pomate. Ma intanto nuove sperimentazioni stanno scoprendo impieghi diversi. Infatti, il baco da seta può avere anche una funzione dal punto di vista nutrizionale, come ha indicato una recente ricerca Fao sulla possibilità di combattere povertà e fame attraverso insetti commestibili.
PadovaOggi – 2 settembre 2013