Quasi sei miliardi e mezzo di euro rischiano di essere restituiti a Bruxelles. A tanto ammontano i fondi europei in scadenza, su un totale di 31 miliardi ancora da spendere, che non sono stati neanche “impegnati” giuridicamente.
Per i quali cioè, a differenza dei restanti 24 miliardi e mezzo, non esistono né progetti né bandi. In altri termini, se entro settembre l’Italia non presenta un piano, potrebbe bruciarli. Ma un piano esiste. L’ha formulato il ministro per la Coesione Trigilia e illustrato, nelle sue linee generali, a Regioni e sindacati nei primi giorni di agosto. Mostrando loro una tabellina inedita con la ripartizione dei denari non “impegnati” regione per regione: 2 miliardi dal Centro-Nord e ben 4,4 dal Mezzogiorno (1,3 miliardi solo dalla Calabria, quasi un miliardo dalla Sicilia, mezzo dalla Campania, 600 milioni dalla Sardegna). E prospettando una corsa per riacciuffarli e dirottarli su due provvedimenti già operativi: il decreto lavoro e il decreto Fare.
L’idea è quella di rafforzare dunque due strumenti esistenti. Il primo, messo a punto dal ministro del Lavoro Giovannini, prevede già l’utilizzo di un miliardo e mezzo di fondi europeida usare per sostenere l’occupazione dei giovani al Sud. Cifra che potrebbe ora salire di un altro paio di miliardi, diretta però a tutto il territorio nazionale. Il secondo strumento, il decreto Fare, verrebbe invece irrobustito con 4-4,5 miliardi aggiuntivi per rifinanziare il fondo centrale di garanzia del credito alle imprese, gli incentivi per l’acquisto di macchinari (legge Sabatini), lascossa all’economia locale. E dunque l’avvio di piccole opere già cantierabili, la messa in sicurezza di scuole e ospedali, l’effi-cientamento energetico di edifici pubblici. Insomma il piano Città impostato dal ministro Lupi.
Tutto questo andrebbe in fumo (“disimpegno automatico”, come per i 33 milioni già persi per il Programma attrattori culturali, naturali e turismo) se, nelle prossime tre-quattro settimane, non si riuscisse a “riprogrammare” i 6,4 miliardi “orfani” di guida e obiettivi. Nel complesso, come detto, i fondi europei (comprensivi di cofinanziamento statale) ancora da utilizzare arrivano a 31 miliardi dei 50 assegnati all’Italia per il settennio 2007-2013 (28 miliardi dall’Unione europea più 22 dal governo nazionale). Ai quali sommare i 10 miliardi rimessi in moto dall’ex ministro della Coesione Barca. Trentuno miliardi da spendere da qui al 31 dicembre 2015, termine ultimo per la rendicontazione a Bruxelles. Questo significa, brutalmente, un miliardo al mese. Due giorni fa il premier Letta, presentando la nuova Agenzia per la coesione che gestirà quasi 100 miliardi di fondi nuovi per il 2014-2020, ha ammesso che «anche alla fine del settennato 2007-2013, non riusciremo ad usare tutte le risorse», ma «stiamo cercando di accelerare».
Repubblica – 28 agosto 2013