Dopo le critiche degli studi a breve termine da parte di Istituto Ramazzini e CRIIGEN, e dopo evidenze di tossicità a basse dosi (cd Low Dose Response), EFSA risponde.
Il tema è da tempo nell’aria: diversi ricercatori indipendenti avevano chiesto almeno due anni di studi tossicologici, per valutare gli effetti a lungo termine di sostanze o alimenti. D’altro canto, anche la Commissione Europea e altri enti- come l’Anses francese- avevano dato segnali in questa direzione.
E proprio la Commissione ha chiesto ad EFSA di intervenire. Rimarcando implicitamente la attuale assenza di precise linee guida per gli studi a due anni, da un lato: e dall’altro, il crescente ricorso che alcuni ricercatori indipendenti fanno di questo approccio per condurre valutazioni tossicologiche, che al momento, sono al di fuori dei protocolli ufficiali OCSE. E che in passato, proprio su questa base, sono state rigettate anche da EFSA.
E’ un punto di chiarezza importante. E un cambio radicale di prospettiva. La base delle critiche fatte da EFSA diventa quindi un metodo scientifico di EFSA stessa.
I ricercatori indipendenti
Un parte significativa della comunità scientifica indipendente, a partire da Morando Soffritti eFiorella Belpoggi, ricercatori entrambi dell’Istituto Oncologico Ramazzini di Bologna, aveva cominciato a mettere in dubbio studi condotti a 28 giorni o anche a 90 giorni. In base alle argomentazioni prospettate, studi tossicologici standard di questo tipo non sarebbero in grado di mettere in evidenza aspetti diversi tossicologici, di più recente acquisizione. Due su tutti: la cosiddetta “low dose- response” associata a sostanze come gli interferenti endocrini; ed effetti a lungo termine (quindi, di tipo anche riproduttivo e dello sviluppo). Eric Gilles Seralinì, dell’istituto di ricerca indipendente CRIIGEN- da sempre critico sugli OGM- aveva avanzato argomentazioni in tutto simili, come non abbiamo tralasciato di ricordare.
Le istituzioni
Lo scorso anno poi anche la Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) ha battuto un colpo: riprendendo le preoccupazioni in merito e dandole una forma divulgativa. Considerando proprio le fallacie metodologiche che hanno portato a considerare sicuro il bisfenolo A, e chiedendo studi temporalmente più adeguati.
La Commissione Europea poi è uscita allo scoperto, chiedendo studi a 90 giorniobbligatori per l’autorizzazione di nuovi mangimi in Europa. Non ancora abbastanza (2 anni) ma già qualcosa.
In un comunicato appena pubblicato, l’Authority di Parma comunica:
“L’EFSA ha fissato i principi guida che saranno di ausilio agli scienziati nell’eseguire studi biennali di alimentazione con alimenti interi, finalizzati a valutare il rischio di cancro e/o la tossicità derivanti dal consumo prolungato di tali cibi da parte dell’uomo. La relazione contiene raccomandazioni sul disegno e la conduzione di esperimenti di alimentazione a lungo termine con alimenti interi nei roditori, in linea con gli standard riconosciuti a livello internazionale, e individua le limitazioni di questo tipo di studi. Inoltre l’Autorità sottolinea che decisioni sulla necessità di condurre tali studi o meno vanno prese caso per caso e solo dopo aver valutato tutti i dati tossicologici, nutrizionali e relativi alla composizione esistenti. È inoltre fondamentale definire obiettivi chiari e specifici prima di avviare uno studio.”
Alcuni passaggi sono fondamentali:
– Si chiarisce che vanno usati alimenti interi e non solo parti. Questo per evitare confusione nel momento di estendere a metaboliti proprietà che non sono delle matrici alimentari in quanto tali, e che possono avere interazioni inedite nella realtà. E’ sicuramente un aspetto importante.
– Le limitazioni di tali studi: altro aspetto rilevante. In ogni seria trattazione scientifica, vanno esplicitate infatti le limitazioni metodologiche. Da un punto di vista della filosofia della scienza (o epistemologia) infatti, ogni metodo (o modello) nel momento in cui approccia “il mondo là fuori”, e lo “rivela” contiene nondimeno dei “blind spot”, ovvero punti ciechi –o limitazioni- della ricerca, di cui tenere conto per evitare bias.
– È interessante anche la conferma che viene da EFSA circa la volontà di continuare- come già si sta facendo per gli OGM- ad applicare un approccio “caso per caso”, sulla base di dati pre-esistenti (tossicologici in particolare). Il modello non sarà usato in via universale, qunidi.
– Last but not least: la definizione di obiettivi chiari prima dello studio”. Ricordiamo che Per Bergman, a capo della divisione Regulated Products di EFSA, aveva derubricato lo studio di Seralinì sul mais NK603 proprioa partire dalla carenza di chiari obiettivi di ricerca come posti (v. pagina 5). Il disegno sperimentale di una ricerca infatti- concorda la comunità scientifica- deve individuare con chiarezza cosa si intende misurare. Tuttavia, se la comunità scientifica era stata concorde nel ritenere inadeguato il disegno sperimentale dello studio di Seralinì (un aspetto su tutti: la presenza di un solo gruppo di ratti di “controllo” rispetto ai nove di trattamento), solo EFSA e altre due agenzie nazionali avevano sollevato dubbi sulla definzione degli obiettivi in quello studio. Seralinì in effetti partiva “in medias res”, sottolineando le carenze di studi precedenti e cercando di colmarle. I rischi erano già quindi precedentemente definiti. Tossicologici e a carico di organi ben individuati come fegato e reni.
EFSA intende utilizzare come base le linee guida 453 dell’OCSE: applicabili per gli studi a 2 anni su tossicità e cancerogenicità. Ma riconosce come limitazioni il fatto che il campo qui è alimenti e mangimi e non sostanze. Accade quindi che le sostanze chimiche in quanto tali possano essere usate nei test a dosi molto più alte, svelando facilmente effetto tossicologico. Mentre eccedendo con gli alimenti, si finisce per causare uno squilibrio metabolico complessivo difficilmente imputabile alla singola sostanza osservata.
Vanno di conseguenza usati più animali come numero, al fine di avere un riscontro sulla tossicità a livelli bassi.
Sicurezza Alimentare Coldiretti – 3 agosto 2013