All’Italia servono circa 1,7 milioni di nuovi posti di lavoro per riportare il tasso di occupazione ai livelli pre-crisi, sommando i posti persi negli ultimi anni e l’aumento della popolazione in età attiva è la conclusione cui giunge l’International Labour Organization nel ‘Rapporto sul mondo del lavoro 2013’ che fa il punto sull’andamento occupazionale nel globo rispetto al periodo ante-crisi.
L’Italia figura nella categoria di Paesi dove la disoccupazione continua ad aumentare (era al 6,1% nel 2007) e dove sono cresciute le disparità di reddito a causa della recessione, segnando anzi «uno degli aumenti più brutali» dell’Unione europea.
Non solo, nel capitolo dedicato alla Penisola il rapporto sottolinea che «la sfida della ricerca di un posto di lavoro è particolarmente difficile per i giovani tra 15 e 24 anni: il tasso di disoccupazione di questa fascia di età è salito di 15 punti percentuali e ha raggiunto il 35,2% nel quarto semestre 2012». In base ai dati resi noti la scorsa settimana, peraltro, il tasso dei giovani senza lavoro è balzato al 41,9%. Il rapporto sottolinea anche il diffondersi dell’occupazione precaria (contratti involontari a tempo determinato o part-time): a partire dal 2007 il numero dei lavoratori precari é aumentato di 5,7 punti percentuali e ha raggiunto il 32% degli occupati nel 2012. Secondo l’Ilo, che è l’organismo dell’ Onu specializzato nelle tematiche del lavoro, la percentuale dei contratti a tempo determinato sull’insieme dei contratti precari è probabilmente aumentata a seguito della riforma Fornero.
Per risollevare il mercato del lavoro italiano il rapporto suggerisce di puntare più su investimenti e innovazione (incentivandoli con sgravi fiscali) che su austerità e riduzione del costo unitario del lavoro, approva con riserva la staffetta ‘intergenerazionale’ (ma i giovani non devono togliere il lavoro agli adulti, sottolinea l’Ilo) e suggerisce di trovare altre vie per rilanciare l’occupazione giovanile, come gli incentivi all’assunzione e un sistema di formazione che favorisca lo ‘skills matching’. Nella sua analisi sulla difficile situazione occupazionale italiana, l’Ilo rileva che il Paese ha puntato sulle esportazioni per far ripartire l’economia, ma considerando che molti partner commerciali sono a loro volta alle prese con l’austerità, secondo l’Organizzazione la domanda esterna potrebbe non essere sufficiente a sostenere tale modello. Peggio però è andata alla domanda interna che, tra imprese che non trovano credito e famiglie impoverite, ha accusato un calo del 11,8% dal 2007 e «la tendenza dovrebbe continuare fino al 2014». Secondo l’Ilo l’Italia potrebbe concentrarsi meno sul risanamento fiscale e sulla riduzione dei costi unitari della manodopera per porre l’accento su misure a sostegno di investimenti e innovazione.
Il rapporto suggerisce di rafforzare il mandato del Fondo Italiano d’Investimento che potrebbe aiutare a identificare piani aziendali promettenti e ottenere il sostegno finanziario di banche e investitori privati e pubblici garantendo una parte del rischio. Inoltre, il governo potrebbe applicare sgravi fiscali sugli investimenti produttivi e detassare alcuni investimenti specifici. Per massimizzare gli effetti sull’occupazione, queste misure potrebbero dare la priorità agli investimenti ad alta intensità occupazionale o a quelli che perseguono determinati obiettivi come il risparmio energetico.
A proposito delle recenti proposte di condivisione del lavoro tra lavoratori giovani e anziani, l’Ilo approva il tutoraggio quale metodo intergenerazionale per trasferire consigli e buone pratiche, ma sottolinea anche che i giovani non devono prendere il posto degli adulti nel mercato del lavoro. Il governo dovrebbe quindi considerare altri mezzi per sostenere l’occupazione giovanile come, ad esempio, il sistema di garanzia per mantenere i giovani dentro il mercato del lavoro, gli incentivi all’assunzione di giovani più svantaggiati (disoccupati di lunga durata o poco qualificati), borse di formazione e sforzi per migliorare la corrispondenza delle competenze.
Va poi monitorata e valutata, osserva ancora il rapporto, la recente proposta di ridurre di un terzo il periodo di interruzione tra due contratti successivi a tempo determinato. Considerando che l’occupazione precaria é in continuo aumento, sarebbero infine necessari maggiori sforzi per incentivare la trasformazione di contratti a tempo determinato in contratti di lavoro fisso. La disoccupazione resta ostinatamente alta nel mondo e nei prossimi anni è destinata ad aumentare ancora. Secondo l’Ilo, il tasso di disoccupazione planetario ha raggiunto il 5,9% nel 2012, quando i senza lavoro erano 195,5 milioni, con un aumento di 0,5 punti rispetto al 2007 quando i disoccupati erano 169,7 milioni e si avvia a salire al 6% quest’anno, con un aumento dei disoccupati oltre la soglia dei 200 milioni a 201,5 milioni. Entro fine 2014 la proiezione è di 205 milioni e il numero di quanti cercano lavoro senza trovarlo è stimato a 214 milioni entro il 2018.
Per riportare l’occupazione ai livelli pre-crisi secondo l’Ilo sono necessari oltre 30 milioni di posti di lavoro. Il tasso di occupazione globale nel quarto trimestre 2012 era al 55,7%, lo 0,9% in meno rispetto al quarto trimestre 2007, il che comporta un deficit globale netto di circa 14 milioni di posti di lavoro rispetto all’ante-crisi. Servono poi altri 16,7 milioni di posti per i giovani che raggiungeranno l’età lavorativa quest’anno, il che porta dunque a 30,7 milioni lo squilibrio lavorativo globale. Per l’Unione europea il ‘gap’ complessivo é di ben 6 milioni. Secondo il rapporto, nei Paesi avanzati i livelli occupazionali dovrebbero rivedere i livelli pre-crisi solo nel 2018. Il tasso di occupazione dovrebbe raggiungere il 56,5% nel 2017, restando di 0,1 punti sotto il top ante-crisi. L’occupazione dovrebbe aumentare dell’1,3% annuo nei prossimi cinque anni, mentre la popolazione di età lavorativa dovrebbe aumentare dello 0,5% annuo.
Quindi le economie avanzate dovranno far fronte alla duplice sfida di chiudere il ‘deficit’ lavorativo causato dalla crisi e dare lavoro agli oltre 20 milioni di giovani che entreranno nel mercato del lavoro nei prossimi cinque anni. L’Ilo individua il calo degli investimenti intervenuto rispetto al periodo pre-crisi tra i principali motivi della mancata ripresa occupazionale. I Paesi avanzati nel 2012 hanno rappresentato solo poco più di un terzo degli investimenti globali, mentre nel 2000 rappresentavano il 60%. Per contro i Paesi emergenti dal 27% del 2000 sono saliti al 47% del 2012.
Il tasso di investimenti resta in ogni caso un punto percentuale al di sotto dei livelli pre-crisi a livello globale e di tre punti nel caso dei Paesi avanzati. Eppure gli utili sono tornati, sottolinea il rapporto, ma non vengono ancora investiti. Intanto, gli indici globali delle Borse sono raddoppiati rispetto ai minimi di inizio 2009 e le società quotate di qualsiasi latitudine hanno segnato un aumento della liquidità dai 2.300 miliardi di dollari del 2000 ai 5.200 miliardi del 2008 e ai 6.500 miliardi del 2011.
Al tempo stesso é salita la paga dei Ceo. In Germania, ad esempio, l’incremento per i top manager dei grandi gruppi é stato del 25% tra il 2007 e il 2011. Il che vuol dire che il rapporto tra la remunerazione di un Ceo e quella di un salario medio é salito da 155 a 190. Il record però spetta agli Usa, dove i Ceo delle principali società nel 2011 hanno guadagnato 508 volte il salario del lavoratore americano medio.
Il Sole 24 Ore – 4 giugno 2013