Al capitano dei carabinieri Massimo Ferrari furono inflitti tre giorni di consegna per alcune espressioni che non aveva pronunciato in un bar di Schio. Lo scambio di battute con un paio di clienti del locale dopo le intemperanze di un cane di piccola taglia.
IL CASO. Il Consiglio di Stato dà ragione al capitano dei carabinieri contro il Comando Generale. Gli furono inflitti tre giorni di consegna per alcune espressioni colorite che non aveva pronunciato
Il Consiglio di Stato replica la posizione del Tar, respinge il ricorso del Comando generale dell’Arma e dà ragione al capitano dei carabinieri Massimo Ferrari. Anche il secondo grado amministrativo ricalca l’impostazione dei giudici regionali nella vicenda in cui l’ex comandante della compagnia di Schio, il cagnolino della cliente di un bar e il pregiudizio del testimone giornalista facevano da sfondo a una vicenda surreale la «cui gravità del tutto relativa dell’addebito in rapporto alle conseguenze», come scrivono i magistrati, sulla quale è stata posta una pietra tombale. La sentenza del Tar veneto impugnata dal ministero della Difesa e dai vertici dell’Arma riguardava la sanzione disciplinare dei tre giorni di consegna inflitti al capitano per avere usato un tono fermo in un noto locale di Schio. Il caso era scoppiato sul finire dell’inverno dell’anno scorso al bar Scledum dove il capitano Ferrari incontrò il giornalista Paolo Terragin per un caffè. Poco dopo entrò la signora Nicoletta Codiferro col suo cane di piccola taglia. Chiese al titolare se la bestiola non disturbava e le rispose che non c’erano problemi. Invece poco dopo il cagnolino si aggrappò ai pantaloni di Terragin. A quest’ultimo scappò un istintivo «che c. sto cane». Un’altra cliente, intenta a bere un cappuccino, intervenne: «Chi non vuole bene agli animali non vuole bene ai cristiani». Al che il capitano Ferrari, che fino ad allora non aveva parlato, sbottò: «Lei signora per cortesia continui a bere il cappuccino». Il battibecco finì lì. Ma a distanza di qualche settimana l’ufficiale venne sottoposto a procedimento disciplinare perché al comandante provinciale Michele Sarno pervenne una “denuncia” sul conto dell’ufficiale accusato di non avere tenuto un comportamento consono al ruolo. In base a quella segnalazione a Ferrari furono inflitti tre giorni di consegna in caserma, provvedimento abnorme per un ufficiale che macchia la carriera. Di qui il suo ricorso con l’avvocato Nive Lorenzato al Tar, dal quale ebbe piena soddisfazione. I suoi superiori, dicono i giudici, presero un granchio disciplininare perché non tennero in considerazione le dichiarazioni del giornalista, enfatizzando quelle delle clienti del bar. Morale? Per il il giudice Roberto Vitanza «il rapporto disciplinare del 19 maggio 2012 redatto dal comandante provinciale di Vicenza dell’Arma partecipa di un processo emotivo, più che di una scevra valutazione dei fatti», anche perché «non risulta neppure che i testi indicati dal ricorrente siano mai stati ascoltati dal comandante provinciale ovvero da altri militari da questi delegati». Pertanto, la condanna difettava di motivazioni e venne annullata. Non solo, ma si sosteneva che qualora l’Arma intendesse procedere disciplinarmente contro l’ufficiale, avrebbe dovuto ricorrere a un collegio di militari «non in servizio presso la Legione Interregionale carabinieri “Vittorio Veneto” perché «appare evidente – scrive il Tar – l’esercizio di una giustizia esercitata in maniera ingiustificata dall’autorità investita del potere disciplinare per fini estranei alla logica e alla previsione della norma regolamentare». Come dire, contro Ferrari fu commesso un arbitrio disciplinare. Il Comando Generale, non contento, ha ricorso al Consiglio di Stato e la frittata è stata completa. La sua istanza cautelare è stata respinta. Un flop.
Il Giornale di Vicenza – 18 maggio 2013