Confronto aperto tra organizzazioni sindacali e Usl 7 sui circa 9 milioni di euro, pari a 18 miliardi di vecchie lire, che l’azienda sanitaria ha chiesto di restituire a circa 150 medici. Ciascuno di loro nei giorni scorsi si è visto recapitare una lettera in cui si chiede di rimborsare i compensi (e i relativi interessi maturati) per una serie di prestazioni aggiuntive svolte fra il 1983 e il 1994, ovvero tra i venti e i trenta anni fa.
Ma a rendere curiosa e ancor più intricata questa vicenda c’è un dettaglio: l’azienda sanitaria poi queste prestazioni dovrà pagarle, anche se «a titolo diverso». Così infatti stabilisce la sentenza del Consiglio di Stato dell’ottobre del 2010 che ha rigettato gli appelli presentati dai sindacati e dal personale che contestava la richiesta di restituzione delle somme. Si presume che ciascun professionista possa essere chiamato a rimborsare tra i 50 e i 10 mila euro. Ma lo stesso Consiglio di Stato ammette che quelle prestazioni, autorizzate e svolte, vadano retribuite. Insomma, il denaro finirà per uscire da una tasca e entrare dall’altra. Quello che è da definire è con quale modalità e in che quantità. La questione è intricata e parte, appunto, da lontano. All’epoca, la poi disciolta Usl 12 aveva concordato con medici e personale interessato dalla vicenda lo svolgimento di un «plus orario», probabilmente per smaltire code e liste d’attesa, che ha poi pagato utilizzando un fondo sbagliato, cosa che era stata rilevata dalla stessa Regione. Ed è qui che sta il nocciolo della questione. I professionisti hanno correttamente svolto quelle ore, ma per pagarli è stata usata una voce di bilancio non corretta. Insomma, un inghippo amministrativo, che dopo una serie di lustri si è rivelato un boomerang non solo per i dipendenti ma anche per i loro eredi. In questo arco di tempo, infatti, alcuni professionisti sono venuti a mancare e della vicenda sono stati chiamati a rispondere i loro famigliari. A far esplodere il caso, che bolliva in pentola da qualche anno, con ricorsi e contro ricorsi presentati al Tar in forma congiunta attraverso i sindacati, ma anche a titolo personale, è stata proprio la sentenza del Consiglio di Stato del 2010. Appresa la decisione della V sezione e fatti i dovuti accertamenti e controlli, l’Usl 7 ha infatti fatto partire le 150 lettere. «La comunicazione dell’Usl 7 è un atto dovuto, a seguito di sentenza del Consiglio di Stato», fa sapere l’azienda sanitaria di Pieve di Soligo. Ora però il sindacato dei medici sta analizzando la questione. Il segretario dell’Anaao Antonio Balsarin parla di una situazione ancora in itinere. Da chiarire vi sono soprattutto i criteri con cui chiudere la vicenda.
La Tribuna di Treviso – 12 maggio 2013