L’accusa: piccoli pazienti in day hospital per incassare il rimborso più alto. Oltre quattromila cartelle cliniche sequestrate, un’ipotesi di truffa per 5 milioni di euro in cinque anni, due medici indagati e un’indagine che alza il velo sul sistema dei rimborsi sanitari alle cliniche convenzionate.
Sia ieri che giovedì gli uomini del Nucleo tributario della Guardia di Finanza si sono presentati al centro medico di foniatria «Casa di cura Trieste» di Padova, e hanno sequestrato documenti relativi a migliaia di pazienti, per la maggior parte bambini, che dal 2008 sono stati visitati nella struttura gestita dalla dottoressa Donatella Croatto: i finanzieri sospettano che negli ultimi cinque anni la casa di cura abbia percepito indebiti rimborsi dalla Regione «forzando» i pediatri a richiedere prestazioni in day hospital anziché semplici visite ambulatoriali. Il motivo? Le prestazioni in day hospital vengono rimborsate dal sistema sanitario per 150 euro al giorno, mentre una semplice visita con il bambino, della durata di circa mezz’ora, prevede un rientro di 50 euro.
Per questa ragione la dottoressa Croatto e il direttore sanitario Luigi Diana, ex sovrintendente sanitario nonché commissario straordinario a Padova, sono indagati per truffa aggravata. Le indagini dei militari al comando del tenente colonnello Giovanni Parascandolo, e coordinate dal pm Federica Baccaglini, puntano a ricostruire il modus operandi della struttura, già apertamente criticata nel febbraio dal dirigente della Usl 15 di Cittadella Sandro Artusi. Il medico aveva infatti acceso i riflettori su continue lamentele dei pediatri del suo distretto, pressati dai genitori affinché inserissero nella prescrizione la dicitura «richiesta visita in day hospital». Sembra infatti che le famiglie che si rivolgevano al centro foniatrico della dottoressa Croatto e del dottor Diana fossero chiaramente indirizzate affinché ci fosse quella precisazione nelle ricette. Una precisazione che si tramutava in un rimborso ben più consistente rispetto a una comune visita.
In più di un’occasione, inoltre, la casa di cura Trieste avrebbe chiesto la prestazione in day hospital alle famiglie dei piccoli pazienti ancor prima di vedere i bambini una prima volta. Una procedura automatica, quindi, una ritualità che avrebbe portato nelle casse della struttura sanitaria un milione di euro all’anno di indebiti rimborsi. In qualche occasione i pediatri si sarebbero rifiutati di esaudire le richieste dei genitori, segnalando la stranezza alle direzioni sanitarie locali. Le famiglie, nella più completa buona fede, chiedevano con insistenza la procedura che sarebbe stata imposta dalla Casa di cura padovana: in molti parlavano bene di quel centro medico che aveva come obiettivo principale la cura e la riabilitazione linguistica di bambini con i problemi più disparati: dalla semplice balbuzie primaria a più complesse difficoltà di apprendimento, dovute a scompensi acustici curabili solo a livello chirurgico. Sul sito della struttura viene spiegato bene che cosa si intende per prestazione in day hospital, ovvero «assistenza a ciclo diurno che consiste in ricoveri programmati costituiti da uno o più accessi ciclici di cui ciascuno della durata di almeno 3 ore, con erogazione di prestazione polispecialistiche e multiprofessionali (non eseguibili a livello ambulatoriale)». E poi ancora sul sito si spiega: «In regime di day hospital lavora un’equipe multidisciplinare composta da foniatri, neuropsichiatri infantili, psicologi, logopedisti, audiometristi, audio protesisti, terapisti occupazionali».
Sicuramente si tratta di una procedura che può essere applicata in diversi casi, a seconda della gravità dei disturbi. Ma, a quanto risulta alle indagini, tutto ciò nella clinica della dottoressa Croatto era diventata una prassi. Se l’ipotesi di truffa verrà confermata, bisognerà dar merito al dottor Artusi di Cittadella che aveva denunciato per primo le anomalie. Oltre al fronte degli indebiti rimborsi, i finanzieri si concentreranno anche sugli enti che hanno il compito di erogare e monitorare i pagamenti, ovvero la Regione e le Usl, e che avrebbero dovuto segnalare tempestivamente eventuali irregolarità alla procura.
Roberta Polese – Corriere del Veneto – 12 maggio 2013