Tre giorni fa i militari del Ros e della Finanza si sono presentati nella sede dell’Aisi, il servizio segreto interno. Cercavano dieci milioni di euro scomparsi dalle casse del Viminale.
Perchè a tanto ammonta il buco nei conti del Fec, il fondo per gli edifici di culto attraverso il quale il ministero dell’Interno amministra e tutela un enorme patrimonio artistico in tutt’Italia.
L’ultima traccia di quei dieci milioni porta in Svizzera, a una finanziaria, attraverso la quale li avrebbe investiti il prefetto Francesco La Motta, ex direttore centrale per l’amministrazione del Fec, poi vicedirettore vicario del Sisde e fino a due mesi fa vicedirettore dell’Aisi.
Un nome eccellente dell’Intelligence, finito sul registro degli indagati della procura di Roma con l’ipotesi di peculato per distrazione e corruzione. La cifra fino a tre giorni fa, era ignota. A quantificarla è stata una denuncia presentata tempo fa in procura dal Fec e ripescata in archivio.
LE VERIFICHE
L’inchiesta coordinata dal pm Paolo Ielo, nasce a Napoli. Nel fascicolo dei magistrati partenopei, che stanno indagando per associazione mafiosa e riciclaggio sugli affari del clan camorristico dei Polverino, finisce anche il nome di La Motta, accusato, tra l’altro, di favoreggiamento ai boss. Frammenti di quell’inchiesta portano ai soldi del Viminale, così i pm mandano gli atti Roma per competenza. Ielo ha delegato gli accertamenti al Ros e al nucleo di polizia tributaria della Finanza. Tre giorni fa i militari si sono presentati con un decreto di perquisizione a casa del prefetto e nella sede dell’Aisi, perché La Motta, che tra l’altro è Gentiluomo di sua Santità, ormai in pensione da due mesi, ha ancora un ufficio e un contratto di consulenza con i servizi segreti interni.
I SOLDI
È con il nulla osta dell’amministrazione che i dieci milioni del Fec, guidato da La Motta dal 2003 al 2006, vengono investiti attraverso una finanziaria svizzera. L’ente, con personalità giuridica propria, ha un patrimonio sterminato, oltre 700 immobili di valore storico e artistico e amministra tutti i beni degli enti religiosi disciolti: da Santa Maria del Popolo a Roma, a Santa Croce a Firenze, da Santa Chiara a Napoli, a Santa Caterina d’Alessandria a Palermo. Poi le opere d’arte custodite nelle chiese e una serie di magazzini e immobili in affitto, che continuano a rendere. Casse piene, tanto che i soldi vengono investiti; ma dopo l’operazione finanziaria, al Fec si rendono conto che quei soldi sono spariti. Così l’amministrazione presenta una denuncia in procura per fare chiarezza sull’ammanco di dieci milioni di euro. L’esposto rimane lettera morta. Fino tre giorni fa, tanto che nel decreto di perquisizione firmato da Ielo la cifra scomparsa non era indicata, ma «da definire». Poi quella denuncia viene ripescata dall’archivio: la società elvetica avrebbe inghiottito dieci milioni. La rogatoria, per capire che fine abbiano fatto i soldi, è già partita così come sono stati avviati gli accertamenti su tutte le movimentazioni dei conti Fec.
LA MOTTA
Il nome del prefetto, iscritto sul registro degli indagati della procura di Roma per peculato e corruzione, era già finito agli onori delle cronache in diverse occasioni. Onorificenze, qualche cattiva amicizia e gossip. Perché proprio durante l’incarico alla direzione centrale all’amministrazione del Fec, il Gentiluomo di sua Santità aveva ricevuto numerosi riconoscimenti dalla Santa Sede e dall’allora ministro dell’Interno, Beppe Pisanu. Poi però il nome di La Motta era saltato fuori durante le indagini napoletane su Luigi Bisignani e la P4, un coinvolgimento smentito successivamente dagli stessi magistrati. Infine i rotocalchi: Fabio, il figlio del prefetto, si era fidanzato con l’europarlamentare berlusconiana Barbara Matera.
Il Messaggero – 11 maggio 2013