Poteva anche andare peggio. Data la dimensione della recessione che ha colpito l’economia la disoccupazione poteva anche essere più elevata. «Ma ora l’Italia è in una situazione di grave emergenza e il governo deve assumere un’iniziativa immediata». Raymond Torres, capo economista dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), è di passaggio a Roma per un workshop con esponenti delle parti sociali e del ministero del Lavoro dedicato ai Global employment trends 2013 .
Quello che serve ora, spiega in questa intervista esclusiva al «Sole 24Ore», è «un’azione strategica per favorire l’occupazione e superare le difficoltà dell’ultimo anno», tra le quali include anche il «timing sbagliato» con cui s’è proceduto con il varo di una riforma strutturale del mercato del lavoro. Che cosa dovrebbe fare il futuro Governo? Deve convocare una grande Conferenza nazionale per il lavoro con tutte le parti sociali. Aprire un dialogo serrato su 4 o 5 priorità da affrontare anche con il supporto di provvedimenti legislativi urgenti e concordare una road map da seguire per l’attuazione delle nuove iniziative. Quali priorità indicherebbe dal suo osservatorio? L’Eurozona e le economie dei paesi mediterranei ancor di più, sono in pieno credit crunch. Secondo la Bce da inizio anno i crediti erogati alle imprese si sono ridotti dell’1,5%. Bisogna uscire il prima possibile da questa situazione che blocca la base produttiva e mina la fiducia degli operatori. E l’Italia, in questa prospettiva, deve sostenere l’avvio il prima possibile dell’Unione bancaria. Contemporaneamente bisogna affrontare l’emergenza del lavoro con una strategia che riguardi la disoccupazione giovanile e la disoccupazione di lunga durata, che è in continua crescita. E poi bisogna muovere la leva fiscale per ridurre il peso della tassazione sul lavoro. Con i vincoli di bilancio da rispettare non sarà facile fare tutto questo . L’approccio fin qui rispettato di forte austerità non ha funzionato. Bisogna perseguire obiettivi più realistici di riduzione dei deficit con un diverso fiscal mix forientato al rilancio delle attività produttive e dell’occupazione. Ci vorrà comunque tempo per far ripartire le assunzioni . In questo contesto di emergenza è cruciale riformulare e far funzionare al meglio tutte le politiche attive per l’impiego, per evitare in ogni contesto territoriale che domanda e offerta di lavoro non si incontrino. So che la riforma del lavoro fatta in Italia prevede una parte consistente su questo fronte, va realizzata. L’Ilo ha proposto l’adozione nell’Eurozona di un sistema di garanzie per l’occupazione dei giovani che prevede incentivi alle assunzioni dei disoccupati e sostegno condizionato a coloro che sono in cerca di lavoro con percorsi di orientamento e formazione di durata certa e verificabili. Bisogna anche sostenere la formazione continua per chi ha bassi livelli di istruzione ed evitare in tutti i modi l’abbandono scolastico nelle medie secondarie. L’insieme di proposte avanzato avrebbe un costo di circa 21 miliardi per l’Ue-17, per l’Italia di circa 3,8 miliardi, risorse che si potrebbero attivare utilizzando il Fondo sociale europeo. Intanto noi in Italia dobbiamo trovare le risorse per gli ammortizzatori sociali in deroga. Questa crisi deve rappresentare l’occasione per l’avvio di un miglior coordinamento delle politiche passive e attive dei diversi Paesi dell’Eurozona e anche dei rispettivi servizi per l’impiego. Bisogna saper attivare il massimo di mobilità e ridurre le attuali asimmetrie: in Germania e in Austria c’è un problema di reperimento di lavoratori in certi settori, il che è un paradosso visti i livelli raggiunti dalla disoccupazione giovanille in Italia o peggio ancora in Spagna. Qual è il suo giudizio sui contenuti della riforma del lavoro avviata in Italia nel luglio del 2012? La riforma persegue obiettivi strategici condivisi in tutt’Europa, punta a una maggiore inclusione delle donne e dei giovani, a un rafforzamento dei contratti standard e a una migliore conciliazione tra tempi di lavoro e tempi dedicati alla famiglia. Ma è stata varata con un timing sbagliato, nel pieno di un credit crunch, e ha creato incertezza. Inoltre andava sostenuta con maggiori risorse per finanziare i sussidi ai lavoratori espulsi dalle aziende; la riforma dell’Aspi che è stata avviata poteva essere più ambiziosa se ci fossero state più risorse. Un aspetto positivo riguarda invece le regole sui licenziamenti, il cui costo diventa ora più prevedibile con certezza dalle imprese, un po’ come avviene in Olanda. Questo crea condizioni migliori. Sui contratti flessibili tanti vorrebbero tornare alle vecchie regole . So che la discussione è stata forte in Italia ma vi assicuro che dalla nostra prospettiva comparata su questi temi registriamo sempre un confronto decisivo tra le parti. Non sono sicuro che nuovi interventi legislativi in questa fase di emergenza possano portare risultati buoni o, comunque, di breve periodo. Credo che le parti sociali possono fare lavoro di adattamento e verifica con il Governo sulle singole misure, pragmaticamente. L’esperienza internazionale dimostra, come nel caso dell’Austria, che riforme strutturali del mercato del lavoro, in contesti normali, hanno più successo quando è maggiore la condivisione tra le parti sociali. E’ il momento per una riforma delle relazioni industriali, magari nella direzione di una maggiore partecipazione dei lavoratori all’attività e agli utili delle imprese ? Anche di questo non sarei molto sicuro in questa fase. Credo che in questo momento in Germania conti di più il sistematico rapporto che lega le banche al sistema delle imprese con erogazioni di credito stabili che non il modello partecipativo, le cui origini sono molto lontane e diverse. Ora servono, come ho detto, forti politiche attive per il lavoro, un fiscal mix diverso per sostenere l’occupazione e un’uscita immediata dal credit crunch. Perdere ancora qualche mese per un Paese come l’Italia – la cui manifattura resta tra il 5° e il 6° posto nella classifica mondiale degli esportatori netti – sarebbe molto grave.
Il Sole 24 Ore – 20 aprile 2013