Maerne (Venezia), scoppia il caso Pometon. La Cgil: «Vergognatevi». Il sindacato rosso non firma il contratto? Retribuzioni differenziate
VENEZIA – Lavoratori che avranno l’integrativo aziendale in busta paga, e altri che per svolgere le stesse mansioni avranno solo lo stipendio base e neppure la quattordicesima a meno di non iscriversi alla Cisl o di pagare di tasca propria 200 euro. Alla Pometon, azienda metalmeccanica di Maerne nel Veneziano che produce polveri di metallo, a partire dal martedì esisteranno operai di serie A e operai di serie B, a seconda della propria appartenenza sindacale: la colpa è di un’infinita battaglia intestina alle due organizzazioni rappresentate (la Fim-Cisl e la Fiom-Cgil) sulla trattativa per gli accordi di secondo livello. Quelli vecchi, considerati all’unanimità molto avanzati, erano stati disdetti unilateralmente dall’azienda metalmeccanica l’anno scorso a causa della crisi del mercato dell’auto, che aveva portato anche all’applicazione di contratti di solidarietà: il nuovo accordo, che prevede una decurtazione della retribuzione annua quantificabile in una cifra attorno ai mille euro annui oltre a una serie di modifiche sostanziali per quello che riguarda turni di lavoro, è stato firmato dalla sola Fim. Un accordo separato quindi, contro cui la Fiom ha combattuto a lungo prima di rifiutarlo sia a dicembre che il 14 marzo, data della ratifica.
Ma di accordi separati, soprattutto negli ultimi anni, ce ne sono stati tantissimi, basta pensare alla vicenda Fincantieri o addirittura al nuovo contratto nazionale, non sottoscritto dalla stessa Fiom in polemica con Federmeccanica. La differenza alla Pometon però è notevole; i lavoratori rappresentati dalla Fim avranno diritto al nuovo integrativo (circa 400 euro all’anno più la quattordicesima), mentre agli altri – della Fiom oppure non rappresentati sindacalmente – rimarranno tre strade: iscriversi alla Cisl, rinunciare all’integrativo, oppure firmare il contratto individualmente aderendo però a un fondo obbligatorio del costo di 200 euro all’anno, pari alla quota che la Fim-Cisl chiede ai propri lavoratori. Questo fondo, che sarà gestito dalle Rsu, servirà per iniziative di solidarietà e beneficenza. Un caso unico, che non ha nessun precedente in Italia. «Neppure Marchionne era arrivato a tanto – attacca il segretario regionale della Cgil Emilio Viafora -. Negli stessi reparti, per fare le stesse mansioni, ci saranno lavoratori che guadagneranno una cifra e altri che prenderanno di meno: è inaccettabile».
La Cgil, che valuta di ricorrere alla magistratura per annullare l’accordo esattamente come già fatto a livello nazionale per il contratto di primo livello, si appella al principio «Erga Omnes», una norma del diritto del lavoro che prevede che i contratti trovino applicazione nei confronti di tutti i lavoratori indipendentemente dall’iscrizione al sindacato. Ma nel frattempo gli operai, sia quelli Fiom che quelli non sindacalizzati, si sono già mossi: a ieri mattina, in quindici si erano legati alla Fim pagando la quota annua, e almeno una trentina avevano aderito al fondo di solidarietà, mentre sette «duri e puri» avevano dato la propria adesione alla Fiom. «Non c’erano molte possibilità – spiega dalla Fim il segretario regionale Michele Zanocco -, nelle assemblee la larga maggioranza dei lavoratori era favorevole a questo accordo, compresi molti della Fiom. Poi la sigla non ha firmato, ma ha chiesto che il contratto fosse esteso a tutti i lavoratori. Un controsenso». Zanocco vuole però che sia chiara una cosa: «Delle quote del fondo di solidarietà neppure un euro finirà nelle casse della Fim». Di certo però, in fabbrica a partire da martedì ci saranno disparità di trattamento a seconda dell’appartenenza: «E’ inaccettabile, e sono inaccettabili la pressioni che i nostri lavoratori subiscono per passare all’altro sindacato» conclude attaccando il segretario provinciale Fiom Bepi Minto. A cui resta un quesito: se il lavoratori dopo aver ricevuto la prima busta paga intera disdicessero la loro adesione alla Fim ritornando alla Fiom, come verrebbero considerati dall’azienda?
Andrea Saule – Corriere del Veneto – 30 marzo 2013