Il Senatùr: congresso. Ma resta isolato. Chi pensava (sperava?) di veder correre il sangue rimarrà deluso. Nessun armageddon, il consiglio federale della Lega Nord, riunitosi per la prima volta in via Bellerio dopo la sconfitta elettorale e lo scoppio della guerra civile veneta, s’è chiuso ieri tra generici richiami all’unità e calorosi inviti a «guardare avanti», della serie: non è successo nulla e se è successo qualcosa è meglio scordarsene in fretta.
Roberto Maroni, come previsto, resterà segretario federale fino alla naturale scadenza del mandato, ossia il 2015. Tenendo fede alla promessa fatta in campagna elettorale, il neo governatore della Lombardia ha in effetti messo sul tavolo le sue dimissioni, respinte però all’unanimità dal politburo padano perché, visto il clima incandescente, è sembrata a tutti una follia anche il solo pensare di aprire un nuovo fronte interno, quello della successione (per la quale i bookmakers davano in corsa anche il segretario del Veneto Flavio Tosi), così che tutti si sono prodigati nel perorare la causa della continuità, sottolineando l’importanza di Maroni come «figura di garanzia» (sul punto è intervenuto anche il governatore Luca Zaia, nell’unica volta in cui ha preso la parola).
Il solo a remare controcorrente, con un intervento definito «un po’ deludente» dagli stessi lealisti, è stato Umberto Bossi, tornato imperterrito a chiedere i congressi, da quello federale a quello veneto, ma senza alcun seguito. Bossi ha tenuto anche una breve requisitoria contro Tosi (di fatto, l’unico episodio degno di nota), accusato d’essere il responsabile della Caporetto leghista in Veneto e di voler decidere espulsioni «che spettano solo a me» (il Senatùr guida infatti il comitato dei probiviri). Replica di Tosi in tre punti. Uno: la Lega precipitò al 4% anche nel 1999, nel 2001 e nel 2006, e all’epoca lui, che non era alla testa delle truppe, si guardò bene dall’attaccare i massimi vertici. Due: se si vuol fare il congresso in Veneto, lui è pronto anche domani. Tre: se Bossi vuol bloccare le espulsioni e ristabilire la quiete, allora perché non fare una moratoria di tutti i provvedimenti disciplinari presi negli ultimi 2 anni? (il sottinteso, ovviamente, è che se un’epurazione c’è stata, è quella subita in passato dagli uomini più vicini al sindaco di Verona). Le cronache non riportano un terzo round di Bossi, che sulla cacciata di Santino Bozza (richiesta confermata dal federale) avrebbe pure interpellato Marino Finozzi, consigliere vicentino eletto nel massimo consesso: «E ti pare che si possa ancora definire leghista chi ci manda la Finanza in consiglio regionale?» avrebbe risposto Finozzi. E Bossi: «Hai ragione». Condizionali d’obbligo, così come nella ricostruzione dell’ammonimento che Maroni avrebbe rivolto a Tosi in vista delle amministrative di fine maggio: «Stai attento, se si perde a Treviso la responsabilità stavolta è tutta tua. Alleanze e candidato: la faccia ce la metti tu, sarà il tuo banco di prova» è la versione più aspra mentre in via Bellerio prende quota l’ipotesi di un’alleanza Lega-Pdl nella Marca, con l’imprenditore del caffè Massimo Zanetti aspirante sindaco e Giancarlo Gentilini confermato suo malgrado nel ruolo di vice. Piccola curiosità: quando Maroni ha elencato le città per cui ci sarà da battagliare, s’è scordato di Vicenza, venendo subito richiamato ad una maggior precisione. Anche perché a Vicenza è candidata a sindaco Manuela Dal Lago, presente in sala in quanto consigliere federale.
Non si è parlato delle lettere di richiamo («E perché si sarebbe dovuto? – si stupiscono i colonnelli di Tosi – Flavio aveva la massima copertura da Maroni») e neppure della «balena verde» che, secondo Zaia, Tosi vorrebbe costruire «in tre dentro una cabina telefonica» e questo, a ben vedere, sorprende un po’ di più, specie se si pensa che Maroni ha detto di voler aderire in Lombardia al gruppo dell’omonima lista anziché a quello della Lega, una scelta che sembra accelerare l’ipotesi di un superamento del Carroccio verso le nuove destinazioni civico-bavaresi care a Tosi. Forse se ne riparlerà più avanti, nella cerchia ristretta della segreteria politica. Volendo proprio insistere nel cercare riferimenti al «caso Veneto», si possono forse trovare nella generica sottolineatura di Maroni a «evitare eccessi nei provvedimenti disciplinari» e a «non attaccare i segretari nazionali per i risultati elettorali perché la responsabilità è solo mia, io ho voluto stringere l’accordo col Pdl per vincere qui in Lombardia». Molto oltre non si va. Tanto che al termine del consiglio padano, la notizia più battuta è stata la costituzione di «un comitato per l’attuazione della macroregione del Nord». Ne faranno parte i tre presidenti di Lombardia, Veneto e Piemonte, e i capigruppo dei consigli regionali, alla Camera, al Senato e all’Europarlamento.
Marco Bonet – Corriere del Veneto – 12 marzo 2013