Non c’è soltanto Luca Zaia tra i destinatari delle lettere di richiamo firmate dal segretario Flavio Tosi con l’autorizzazione del direttivo regionale (che tuttavia ignorava i nomi dei dirigenti oggetto di rimprovero).
Nella lista dei cattivi figura anche il senatore Massimo Bitonci (nella foto) alfiere dei lealisti e avversario di Tosi al congresso; i trevigiani Gian Paolo Gobbo (l’ ex segretario regionale) e Gianatonio Da Re sindaco di Vittorio Veneto; i veneziani Gian Luca Forcolin e Corrado Callegari (parlamentari non confermati) ed Enrico Cavaliere, già presidente del consiglio regionale; il veronese Alessandro Montagnoli: i vicentini Manuela Dal Lago, Stefano Stefani, Paolo Franco. Per tutti, l’identica contestazione: aver contravvenuto al divieto di rilasciare dichiarazioni sulle questioni interne. di Filippo Tosatto wVENEZIA Forse il postino suona sempre due volte, certo Luca Zaia non ha atteso l’arrivo della lettera di richiamo di Flavio Tosi per esternare a Bobo Maroni tutta la sua indignazione per lo schiaffo subìto, sollecitandolo, una volta ancora, a farsi garante dell’unità del litigioso leghismo veneto. Ma il segretario federale è tra l’incudine e il martello: da sedicente «tosiano», non può sconfessare l’amico che lo fiancheggiò nei tempi plumbei del Cerchio magico bossiano; da neopresidente della Lombardia, individua nel governatore del Veneto il partner indispensabile alla costruzione della macroregione del nord. Così, premuto da più parti, Maroni promette un chiarimento all’imminente consiglio federale: «Questa pagina si deve chiudere. Nessun processo, nessuna crisi particolare: lunedì porterò le mie idee e proposte perché questa fase di turbolenza si chiuda. Tutto ciò che è polemica interna serve solo a disturbare e a complicare il nostro grande progetto». Tant’è. All’appuntamento di via Bellerio, il “barbaro sognante” si presenterà dimissionario; entrambi i duellanti gli chiederanno di restare al timone ma ad animarli sono strategie diverse e forse inconciliabili: la balena verde neocentrista di Tosi, il federalismo spinto e anti-romano di Zaia. Un nodo che, prima o poi, il capo della Lega dovrà sciogliere. Tornando alla “black list”, che include 13 esponenti del Carroccio rimproverati per aver esternato su questioni interne al movimento, il Flavio veronese getta acqua sul fuoco («È una letterina… ») mentre l’equilibrista Federico Caner, capogruppo in Regione e vice di Maroni, sottolinea «l’assenza di sanzioni disciplinari». In effetti molti tosiani fautori di misure drastiche (cacciata dell’ultrà bossiana Paola Goisis, sospensione del senatore Massimo Bitonci, rimozione della responsabile organizzativa Arianna Lazzarini) giudicano il “richiamo” alla stregua di un innocuo buffetto. Ben diversa la reazione dei destinatari. Se quasi tutti i veterani – Manuela Dal Lago, Stefani Stefani, Antonio Da Re – scelgono il silenzio in attesa del postino, nella Marca il “vecchio timoniere” Gian Paolo Gobbo anticipa la sua irritazione: «Ci mancherebbe che fosse negato il diritto di parola, nella Lega la libertà di dissentire è sempre stata garantita, lo stesso Tosi ha criticato l’alleanza con il Pdl decisa da Maroni». Ma a Treviso c’è anche chi plaude al segretario, è il caso di Giancarlo Gentilini, l’ottuagenario sceriffo in corsa per la poltrona di sindaco: «Tosi fa bene a richiamare le pecorelle che si sono smarrite. Il buon pastore deve adoperare prima la parola e poi la frusta. Ben vengano le lettere se servono a ricompattare un’unità indistruttibile, non si possono permettere lassismi o abbandoni delle posizioni strategiche». Dalla parabola evangelica all’ardito accostamento fra il tramonto di Bossi e la rinuncia di Benedetto XVI: «Il Papa si è dimesso perché ha capito che se fosse morto lentamente le curie papali avrebbero gestito la Chiesa, che senza il gatto i topi avrebbero ballato. Nello stesso modo, se tante persone che erano attorno a Bossi avessero agito per il bene della Lega ora questa sarebbe primo partito italiano». Sullo sfondo, l’ammutinato Santino Bozza, raggiunto da una richiesta di espulsione per la sua ribellione ai vertici: «Tosi cammina sopra un braciere. Pensa di avere i chierichetti che lo seguono ma non è così. Ha sbagliato tutto. C’è la scissione se non si cambia e non saremo quattro gatti, come dicono. Le lettere? Se non fosse in ballo il destino della Lega, ci sarebbe da riderci sopra».
Il Mattino di Padova – 8 marzo 2013