Ma nella diga del fisco si aprono le prime crepe. A cominciare dal redditometro. finita una campagna elettorale imperniata su promesse fiscali surreali, adesso è il momento di ritornare alla dura realtà. Non si parlerà più di abolizione o addirittura restituzione dell’Imu, svanirà il sogno delle visite mediche gratuite, Equitalia continuerà a turbare il sonno di milioni di contribuenti.
Nel 2013 la pressione fiscale in Italia raggiungerà il 45,3%, secondo le previsioni del Me E potrebbe essere una previsione ottimistica. Un livello difficilmente tollerabile da un paese senza crescita e senza speranza. Beppe Grillo ha capito che i cittadini, le imprese i lavoratori autonomi hanno raggiunto il limite della sopportazione. E ha saputo dargli un nemico, un capro espiatorio cui addossare tutte le colpe, cioè una classe politica incapace e corrotta. Da qui il suo successo travolgente. L’insofferenza contro un sistema fiscale onnivoro comincia a trapelare anche dalle sentenze. L’ordinanza del tribunale di Napoli che ha bocciato su tutta la linea il redditometro non è da sottovalutare. Ricorda che oltre alle ragioni dell’Erario ci sono anche quelle dei contribuenti, che non possono essere del tutto calpestate. Anche il presidente della Commissione tributaria regionale della Lombardia, Antonio Simone, ha di recente sostenuto che «la teoria del c.d. “interesse fiscale”, cioè di un interesse dell’Erario prevalente… sembra ormai avviarsi al tramonto… il dovere del cittadino alla contribuzione e l’interesse dell’Erario alla percezione dei tributi… rappresentano due diverse espressioni del medesimo principio, ossia quello del giusto tributo di cui all’art. 53 della Costituzione». Dopo anni di propaganda a senso unico, di criminalizzazione di intere categorie economiche, di lotta all’evasione come valore assoluto, comincia a serpeggiare il dubbio di essersi infilati in un vicolo cieco. Lo dicono anche i numeri: nel 2010 la spesa pubblica era di 793 miliardi, ma nel 2015, se tutto va bene, arriverà a 815. Mentre il gettito tributario negli stessi anni passerà da 724 a 821 miliardi Un inseguimento senza fine che ha messo in ginocchio il sistema economico del Paese. Ecco perché il dopo-elezioni non sarà facile. I 2 mila miliardi di debito pubblico e le esigenze dell’integrazione europea hanno infatti espropriato l’Italia della sovranità in materia di politica economica. A Roma si recita ancora un teatrino di maggioranza e opposizione, ma chi detta le regole è l’Unione europea assieme alle grandi istituzioni finanziarie internazionali. E il destino di ogni debitore di diventare il servo del suo creditore. E i servi devono ubbidire. Non è un caso se il governo Berlusconi nel 2011 ha dovuto cedere
il passo al governo Monti, ben più ligio nel rispondere alle richieste formalizzate dalla Bce nella lettera dell’agosto 2011. Da qui in avanti sarà ancora peggio: l’Italia sarà obbligata a rispettare i limiti ferrei del fiscal compact, dovrà sottoporre le leggi di bilancio alla Commissione europea prima ancora di portarle in parlamento, non potrà più sgarrare. Altro che restituzione
Italia Oggi – 25 febbraio 2013