Il Servizio sanitario nazionale è realmente non sostenibile? Oppure c’è chi sta soffiando sul fuoco della crisi per smantellarlo? Sono ormai in molti a dubitare degli allarmi reiterati sul rischio default.
Le professioniste che hanno aderito al movimento “Se non ora quando Sanità” (tra cui chi scrive), che si batte per la tutela del Ssn e del modello universalistico, stanno sollecitando un’operazione verità. E il 31 gennaio, al San Camillo di Roma, hanno invitato per fare chiarezza Giovanni Bissoni, presidente Agenas ed ex assessore alla Sanità in Emilia Romagna, e Nerina Dirindin, docente di Economia pubblica all’Università di Torino ed ex assessore alla Sanità in Sardegna (che è anche candidata Pd per il Senato in Piemonte).
Gli equivoci sono tanti. «Nella famosa lettera della Bce al Governo italiano non si parlava di Sanità», ha esordito Bissoni. «Le tabelle dell’Ocse ci dicono chiaramente che l’Italia spende meno dei Paesi europei con cui siamo abituati a confrontarci. La Corte dei conti ha certificato che la spesa sanitaria non è più fuori controllo e che il Ssn è il settore della Pa che più si è organizzato per governare la spesa II problema della sostenibilità non nasce da dati oggettivi interni al sistema sanitario, ma dall’equilibrio complessivo dei conti dello Stato». Qui sta il punto. Se certamente «ogni settore è chiamato a dare il suo contributo», dietro la stretta sulla Sanità (circa 31 miliardi in meno soltanto dal 2010 al 2015) «c’è altro: soffiando sulla crisi, qualcuno spinge sull’idea che l’Europa debba ripensare i propri modelli di welfare. C’è un pensiero forte, nell’ambito del mercato, secondo cui lo Stato deve liberarsi di una parte della spesa pubblica, Sanità compresa». Sulla stessa lunghezza d’onda Dirindin, che ironizza: «Rispetto alla Germania lo spread è positivo: per la Sanità spendiamo 2,5 punti sul Pil in meno. Ma questo significa anche oltre 35 miliardi di euro l’anno di minore fatturato in meno per l’industria della salute, che forse sono una ragione sufficiente per dire che il sistema va cambiato. E poi l’ intermediazione finanziaria e assicurativa non si dà pace di non poterci mettere le mani sopra». Lettura non confortante, che rende la partita della salute decisiva per il prossimo Governo. «La storia e le evidenze – ha detto l’esperta – ci dicono che cedere porta a una Sanità a due binari: uno per i ricchi e uno per i poveri. La nostra generazione ha avuto in dono un Ssn finanziato dalla fiscalità generale: non possiamo lasciare ai nostri figli un sistema più iniquo». Considerare quanto meno allarmistici, se non strumentali, i moniti sull’insostenibilità del Ssn aiuta a rivedere la questione sotto una luce diversa. Si prendano l’invecchiamento della popolazione e le nuove tecnologie, agitati come prove della futura insostenibilità: «Possiamo innovare il sistema e governarlo – è convinto Bissoni – per rendere l’impatto di questi cambiamenti meno dirompente di quello che vorrebbero farci credere». E se pure il giudizio sul federalismo, foriero di diseguaglianze, diverge – Bissoni contesta seminai la cattiva applicazione della riforma del Titolo V in alcune Regioni; Dirindin invece ritiene necessario un molo più forte del Governo centrale – entrambi concordano su un punto: se ci si rimbocca le maniche per attuare quanto è già scritto nelle leggi e nella Costituzione il più è fatto. Se vince la politica che sa programmare, che sa avvalersi delle competenze dei tecnici, che risponde dei suoi comportamenti, allora la musica può cambiare. «Ma serve un po’ di schiena dritta da parte di tutti», ha ammonito Bissoni. «E bisogna mettere in piedi una generazione di piani di rientro diversi da quelli attuali, che sono tagliati unicamente per avere la massima resa finanziaria nel minor tempo possibile». Insomma: le strade ci sono, se c’è la volontà di percorrerle. «Di fronte alla crisi – dice Maura Cossutta, del comitato fondatore di Snoq Sanità – le scelte operate fin qui rilegittimano ricette fallimentari e svuotano principi, diritti e conquiste che sembravano irrinunciabili. Ma il modello pubblico e universalistico è una conquista che non dobbiamo perdere e che ci possiamo permettere. Se non ora, quando?».
MANUELA PERRONE – Il Sole 24 Ore Sanità – 5 febbraio 2013