In Italia la produzione di mais non cresce più. Anzi: l’andamento degli ultimi dieci anni mostra che la resa resta in calo dal 1996, ma soprattutto che l’ultima campagna è stata disastrosa: tra l’emergenza aflatossine esplosa alla fine dell’estate scorsa e il gap legato al mancato impiego delle biotecnologie, la produzione italiana di mais si sta riducendo pericolosamente.
Nel 2012 il tasso di autosufficienza del nostro paese si è posizionato per la prima volta sotto l’80% e la produzione, secondo i dati Istat, come ha sottolineato Dario Frisio del dipartimento di Economia, management e metodi quantitativi dell’Università di Milano, è scesa a circa 8,2 milioni di tonnellate (12% in meno rispetto all’anno precedente), il secondo peggior risultato negli ultimi quindici anni. L’allarme è stato lanciato in occasione della tradizionale Giornata del mais, edizione 2013, organizzata a Bergamo dall’Unità di ricerca per la maiscoltura del Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura) e da Regione Lombardia. «Per soddisfare una domanda che è sempre in crescita occorrono partite di grandi dimensioni, qualitativamente uniformi, sane e tracciate», ha ricordato Giuseppe Elias, assessore all’Agricoltura di Regione Lombardia. La resa della più importante commodity agricola italiana ha cominciato a crollare dal 1996, come ha spiegato Frisio, scendendo agli 80,4 quintali a ettaro, ma non aumenta neppure quella della Francia. Fa eccezione la Spagna, dove si coltivano 20mila ettari in più dal 2012 e gli Ogm non sono peraltro vietati, paese che ha confermato il sorpasso, arrivando ai 105,4 quintali a ettaro. Così l’industria mangimistica, come ha sottolineato Giulio Usai di Assalzoo ha aumentato del 41% le importazioni di materia prima nei primi 4 mesi di questa campagna. Un trend spinto anche dai prezzi bassi: il prodotto ungherese, per esempio, costa il 40% in meno del raccolto italiano. Il trend attuale, dunque, non consente di mantenere competitiva la maiscoltura italiana. «Dal 1997 a oggi – ha sottolineato anche Alberto Verderio del Cra Mac, la rete di sperimentazione on farm di Regione Lombardia – evidenzia trend di crescita interrotti a causa di una stagnazione della resa e dell’instabilità delle produzioni. In Italia poi il guadagno ottenuto attraverso il miglioramento genetico, che contribuisce per l’80% all’aumento della resa e quindi della produzione, è di 0,70 quintali a ettaro l’anno contro l’1,37 quintali a ettaro degli Usa, 1,35 quintali della Francia. Per Tommaso Maggiore del dipartimento di Scienze agrarie e ambientali fumonisine e aflatossine restano i problemi più gravi nella campagna 2012, ma la tenuta della coltura passa attraverso una riduzione dei costi di produzione e un aumento della resa: «Oggi a fronte di ricavi che si attestano tra i 3.161-3.411 euro a ettaro, il margine netto è ancora buono e si posiziona tra 591 e 841 euro a ettaro anche grazie al contributo di 411 euro a ettaro, ma dopo il 2013 per effetto della riforma della Pac non si potrà più contare su questa integrazione». Per Paolo Marchesini, presidente di Assosementi, «è necessario però che il Governo dia segnali forti, rafforzi le filiere e vari una reale strategia per l’innovazione in agricoltura. L’industria sementiera italiana potrebbe arrivare al raddoppio delle superfici destinate alla moltiplicazione delle sementi di mais nel nostro paese, passando da 6 a 12mila ettari».
Agrisole – 5 febbraio 2013