Anziché rivedere la mappa delle aree vulnerabili ci si perde in polemiche e discussioni. Dodici mesi per metterci in regola, sempre che Bruxelles non si metta di traverso
Non è piaciuto a Legambiente e nemmeno all’assessore all’Ambiente dell’Emilia Romagna, Sabrina Freda, il rinvio di un anno nell’applicazione della direttiva nitrati. Come anticipato già sul finire del 2012 da Agronotizie, nelle pieghe del Decreto Sviluppo è stato introdotto un emendamento che ha previsto la revisione delle aree considerate vulnerabili, rinviando così l’applicazione delle nuove norme. La normativa comunitaria, lo ricordiamo, ha preso il via da Bruxelles nel lontano 1991, ma solo negli ultimi anni (una prassi troppe volte già vista) l’Italia ha affrontato il tema rendendosi conto delle pesanti implicazioni che questa comportava per la nostra zootecnia. Nonostante il tardivo intervento, l’Italia ha comunque ottenuto una deroga che ha fatto salire a 250 kg/ettaro la presenza di azoto nel terreno. Che altrimenti sarebbe dovuta scendere da 340 kg/ettaro a soli 170 kg/ettaro. Fra le aree vulnerabili rientra l’87% dei terreni coltivabili del Veneto, l’80% di quelli della Lombardia e del Friuli Venezia Giulia, il 62% di quelli dell’Emilia Romagna, il 37% di quelli del Piemonte. Ridurre anche solo di un terzo il patrimonio zootecnico di queste regioni equivarrebbe ad appesantire gravemente la nostra bilancia dei pagamenti, già duramente provata dalle importazioni di prodotti di origine animale. Per non parlare del dramma sociale ed economico derivante dalla chiusura di migliaia di allevamenti.
Dodici mesi da non sprecare
Il rinvio di un anno nell’applicazione della direttiva nitrati è stato così salutato con compiacimento, e non poteva essere diversamente, dal mondo agricolo. Ma l’obiettivo deve essere quello di utilizzare questo tempo per una revisione in senso riduttivo delle aree vulnerabili e sopratutto in una visione più coerente delle fonti di inquinamento da azoto. Nelle responsabilità di eccessivi carichi di azoto non si può puntare il dito solo verso gli allevamenti, ma occorre verificare il ruolo non secondario degli scarichi industriali e urbani. Un nodo sul quale già nel 2011 la Conferenza Stato Regioni si era espressa, approvando la riclassificazione delle zone vulnerabili sulla base di nuove indagini che tenessero conto di questi fattori.
Non è un azzeramento
L’attesa riclassificazione non c’è stata e da qui è scaturita la necessità di un rinvio della direttiva nitrati. Che Legambiente ha però interpretato come un “azzeramento” della norma, mentre in realtà si tratta solo di una sospensione. Critica, come detto, anche la posizione dell’assessore regionale Freda, che paventa il rischio di una minaccia alla qualità delle acque e di una violazione alle norme comunitarie. Posizione che ha fatto scattare la protesta di Enrico Chiesa, presidente di Confagricoltura Piacenza, che ha affidato ad un comunicato il compito di ribadire che gli agricoltori non immettono nitrati nelle acque, ma apportano sostanza organica ai terreni. Una differenza fondamentale. Ora si rischia che Bruxelles possa impugnare il provvedimento italiano e pretendere l’applicazione della direttiva nitrati nella sua versione iniziale. E i “bisticci” in casa nostra non aiutano certo a risolvere il problema. Piuttosto diamoci una mossa, Regioni in prima fila, a riclassificare le zone vulnerabili e a presentare le nostre ragioni a Bruxelles. Dimostriamo una volta tanto di essere bravi a fare piuttosto che a rinviare e a beccarci l’un altro come i famosi capponi di Renzo.
Angelo Gamberini – Agronotizie – 18 gennaio 2013