Nel report appena pubblicato, coperti gli anni dal 2007 al 2011. E’ la prima valutazione europea di questo tipo. Investigati i modi di trasmissione e le combinazioni di alimenti/patogeni che producono la maggior parte delle infezioni o malattie.
Dopo l’epidemia da E. Coli con Shiga tossine “tedesco” dell’estate del 2011, in Europa si è realizzato che anche alimenti di origine non animale possono essere al centro di gravi ed estese infezioni. Successivamente ad una prima valutazione di EFSA nell’ottobre del 2011, proprio su tale patogeno, ecco un ulteriore parere di EFSA in merito ai patogeni negli alimenti di origine non animale.
Le autorità sanitarie raccomandano da tempo un maggiore consumo di frutta e verdura, nonché di cereali, frutta secca, spezie – in virtù di proprietà desiderabili per il benessere e per la prevenzione di malattie. Importante allora capire come difendersi da eventuali patogeni veicolati dalla categoria “alimenti di origine non animale”, anche per capire quali sono le fonti principali tra gli alimenti; quali i patogeni più diffusi; e ancora, con dati storici alla mano- andare a verificare se vi sono in atto tendenze. I dati infatti coprono 4 anni, il che permette alcune prime riflessioni. Con la pubblicazione di un Report da parte del panel Rischi Biologici di EFSA (Biohazard), sono state poste le prime fondamenta per tale ricognizione.
Nel report si legge che il 90% delle infezioni documentate provengano da alimenti di origine animale. Ma – e questo è un punto rilevante- stanno aumentando anche gli eventi riconducibili a alimenti di origine non animale.
Sebbene tali infezioni siano solitamente meno gravi, e con un numero minore di ricoveri e di morti, una volta che si verificano sembra abbiano una diffusione maggiore nella popolazione. Un numero sintetizza bene questo aspetto: per il periodo considerato, gli eventi epidemiologici riferibili ad alimenti di origine non animale sono stati il 10% del totale, ma hanno coperto ben il 26% delle infezioni umane, il 35% dei ricoveri e il 46% delle morti. EFSA sottolinea come il caso tedesco del 2011 (germogli con Escheria Coli variante Shiga) sia da questo punto di vista però in grado di distorcere i dati: infatti senza tale episodio, le morti sarebbero “solo” al 5% del totale e i ricoverati “solo” l’8%.
EFSA si è inoltre trovata davanti ad una sfida metodologica circa la costruzione di un modello di classificazione del rischio, includendo le combinazioni “peggiori” da un punto di vista della sicurezza. Usando un modello siile sviluppato dalla FDA USA, si è riusciti a valutare la forza dell’associazione tra cibo e patogeni; leggendo insieme vari fattori come la prevalenza dell’infezione (sugli esposti); la gravità delle conseguenze dell’infezione; la relazione dose –risposta; la prevalenza della contaminazione, il consumo e il potenziale di replicazione batterica durante la shelf life del prodotto.
Salmonella e verdure a foglia verde mangiate crude sarebbero al primo posto nella scala, seguite da (a pari livello) salmonella e vegetali a bulbo e fusto (come asparagi, cipolla, aglio); salmonella e pomodori; salmonella e meloni; ed E. Coli patogeni su legumi o granaglie.
Per l’anno appena iniziato EFSA indagherà I fattori retrostanti che sembrano associate alla combinazione alimenti-patogeni.
Suggerendo semmai opzioni di gestione del rischio utilizzabili per minimizzare l’esposizione, come buone prassi di gestione lungo la filiera o aspetti di conservazione e trattamento a livello domestico.
sicurezzaaalimentare.it – 17 gennaio 2013