È il partito degli agricoltori ma non trova sponde nella politica. Spezzato il cordone ombelicale con la Dc (che ne candidava gli uomini di fiducia incassando il pieno dei voti), la Coldiretti ha riscoperto una progettualità sopìta scontando però il progressivo isolamento dal circuito del potere.
Nel Veneto la potenziale inclinazione verso il centrodestra dei suoi 80 mila soci si scontra con l’ostinata indifferenza delle forze politiche, tanto da indurre i vertici dell’organizzazione ad una scelta inedita, quella di astenersi da ogni sostegno diretto ai candidati in lizza il 24 e 25 febbraio. È un paradosso, perché mai come oggi Coldiretti (lontanissima parente del carrozzone elettorale moderato-clericale caro a Rumor e Bisaglia) pone al centro del suo impegno temi basilari quali l’esigenza di un governo globale dei beni comuni e la difesa della risorsa-cibo minacciata da una globalizzazione senza regole. Non bastasse, è la maggiore rappresentante di un comparto, l’agro-alimentare, che trova qui l’epicentro della produzione nazionale: 5 miliardi di fatturato nel 2012 (erano 4,8 l’anno precedente) e 60 mila addetti – dipendenti o autonomi – che operano su una superficie di 820 mila ettari. Eppure le relazioni tra il Palazzo e il presidente regionale Giorgio Piazza sono inconsistenti e non per volontà di quest’ultimo. Certo, qua e là si registrano segnali d’attenzione e ci sono politici più sensibili di altri.
Nel Veneziano un punto di riferimento è Paolo Scarpa Bonazza Buora (Pdl), imprenditore terriero già presidente della commissione Agricoltura alla Camera, che tuttavia è espressione della grande proprietà più che dei piccoli coltivatori; buona intesa anche con Marco Stradiotto del Pd, già funzionario del Consorzio agrario, che tuttavia difficilmente rientrerà in Parlamento.
A Padova, c’è un dialogo con Stefano Peraro dell’Udc (il “terrore” dei cinghiali sui Colli euganei) e con la presidente azzurra della Provincia Barbara Degani: il più competente, in materia agricola, è senza ombra di dubbio Clodovaldo Ruffato, presidente del consiglio regionale, pidiellino tentato da Monti; ma, cresciuto nella Coldiretti, “Valdo” è titolare di un avviato studio di consulenza agronomica e rappresenta quindi un competitor.
Nel Bellunese qualche speranza è affidata al berlusconiano Alessandro Da Rold mentre a Rovigo il partner più affidabile si è rivelato Graziano Azzalin, consigliere regionale del partito democratico. E Treviso, patria del governatore ed ex ministro alle politiche agricole Luca Zaia? Qui il canale di dialogo tra Coldiretti e politica è pressoché inaridito e non è detto che a rianimarlo basterà la candidatura leghista dell’enologo Michele Zanardo, vicepresidente del Comitato nazionale vini: il pupillo di Zaia è giudicato più sensibile alle macro-esigenze dell’industria viticola che ai bisogni quotidiani dei coltivatori.
A Verona, poi, si è sfiorato l’incidente diplomatico perché il Carroccio ha delegato ai rapporti con il mondo dell’agricoltura la parlamentare tosiana Giovanna Negro, di professione infermiera. Uccel di bosco Giancarlo Galan (che pure ha ereditato brevemente e senza entusiasmo la poltrona ministeriale di Zaia), resterebbe in lizza l’assessore regionale Franco Manzato: partito in sordina, ha conquistato via via una certa stima tra gli addetti ai lavori, che magari avrebbero concorso a eleggerlo, ma la Lega ha deciso di non candidarlo. Tant’è. L’assenza dal dibattito elettorale di ogni accenno all’economia e al lavoro agricolo sarà ricambiata con un gran rifiuto: i voti, lorsignori, li cerchino altrove.
Il Mattino di Padova – 13 gennaio 2013