Il redditometro è uno strumento “giusto”. Perché è giusto che, tra gli attrezzi per contrastare l’evasione, il fisco ne abbia anche uno – efficiente e ben congegnato – in grado di mettere in relazione il reddito e il tenore di vita sostenuto dai contribuenti.
In questo senso, è evidente come il decreto del ministero dell’Economia che, dopo mesi di attesa, fissa finalmente i criteri base per far funzionare il redditometro sia un passo importante per completare quel mosaico di misure contro il sommerso, al quale ora – come tessera altrettanto decisiva – manca solo il via libera alla comunicazione dei dati di banche e intermediari sui movimenti finanziari. Tutto bene, dunque? Purtroppo no. Perché uno strumento “idealmente” giusto (e persino necessario) non è di per sé uno strumento equo, equilibrato e corretto. Naturalmente, si dovrà attendere il “nuovo” redditometro alla prova del suo impiego effettivo, già nei prossimi mesi. L’agenzia delle Entrate ha più volte ribadito come, nella fase iniziale, sarà utilizzata la massima cautela e che «gli onesti non avranno nulla da temere». Approccio più che condivisibile, soprattutto se – come è auspicabile – questa fase di avvio servirà anche per eliminare e correggere alcune incongruenze che sin d’ora stanno emergendo. Insomma, il ministero dell’Economia sta consegnando all’agenzia delle Entrate – il soggetto che effettuerà concretamente gli accertamenti – uno strumento da maneggiare con cura. Uno strumento che – almeno a questa prima lettura – sembra riproporre molti dei limiti e dei difetti tanto del “vecchio” redditometro quanto degli studi di settore. Con tutti i rischia ciò connessi, a partire dal probabile aumento del contenzioso tra contribuenti controllati e amministrazione. L’elemento positivo, certo, è che l’accertamento basato sul reddito-metro non sarà automatico. E prima di formalizzare le proprie pretese il fisco dovrà sia richiedere dati e chiarimenti al contribuente non in linea con i risultati dell’elaborazione sia, eventualmente, convocarlo in contraddittorio. Ci sono, comunque, almeno quattro profili che meritano attenzione e, al tempo stesso, suscitano perplessità. Primo. Il reddito complessivo presunto verrà determinato- così sembra di capire – come somma algebrica di un lungo elenco di voci di spesa (consumi) e investimenti. In alcuni casi, le spese saranno quelle effettive, visto che l’amministrazione ne può conoscere l’entità. In alcuni casi, invece, si utilizzeranno i dati sulla spesa media Istat per tipologia di famiglia Stupisce, però, che tutte le volte in cui la spesa effettiva del contribuente (risultante dai dati dell’anagrafe tributaria) dovesse essere inferiore alla spesa media Istat, sarà quest’ultima a entrate nella somma per determinare il reddito presunto. Secondo. L’amministrazione, per ricostruire il reddito presunto, attingerà a mani basse agli archivi dell’anagrafe tributaria Sappiamo che, complessivamente, il fisco può oggi contare su ben 128 banche dati. Ma sappiamo anche – lo ha messo in evidenza la relazione conclusiva della commissione bicamerale sull’Anagrafe tributaria (ne abbiamo ampiamente dato notizia sul Sole 24 Ore di lunedì 24 dicembre) – che le criticità maggiori riguardano proprio la capacità di integrazione di questi archivi e le conseguenti difficoltà di utilizzare in modo razionale e organico le informazioni. Sarebbe un peccato se – dopo tutta questa attesa- la ricostruzione del reddito si limitasse a essere poco più che la sommatoria delle spese medie che risultato dall’indagine annuale Istat sui consumi delle famiglie. Terzo. Un’eccessiva severità emerge in relazione agli categoria degli investimenti. Categoria – in realtà – molto ampia che va
dai risparmi agli immobili (mutuo escluso), dagli oggetti d’arte a donazioni ed erogazioni liberali. In questi casi,gli incrementi patrimoniali sembrano venir imputati al reddito annuale presunto, con il risultato di determinare sicuri disallineamenti rispetto al reddito effettivo annuo. Il contribuente, certo, potrà giustificare in sede di confronto con l’amministrazione la provenienza di quegli importi Ma sia per il passato, sia per alcune tipologie di soggetti (si pensi agli imprenditori individuali che spesso non hanno una reale separazione tra sfera personale e attività lavorativa) ciò potrebbe non essere privo di difficoltà. Bisogna combattere l’evasione con mezzi trasparenti e, forse, serve un po’ di accortezza per evitare ripercussioni sui consumi, che già soffrono per altri motivi.
Quarto. La costruzione del redditometro proietta un’ombra scurissima sull’utilità del redditest, il software di autodiagnosi di reddito e spese messo a disposizione dei contribuenti da parte dell’agenzia. I risultati del redditest, infatti, si basano sulle spese effettivamente sostenute (e imputate nel software) dal contribuente e dal suo nucleo. Spese che non necessariamente saranno le stesse di cui l’amministrazione è a conoscenza e sulla cui base sarà costruito il reddito mediante il redditometro. Il che creerà un’inevitabile differenza tra i due importi, confermando la prevalente natura psicologica del redditest.
di Salvatore Padula – Il Sole 24 Ore – 4 gennaio 2012