Michele Bocci. Il dato secco fa impressione. Venticinquemila: tanti sono i medici ai quali il Patto per la salute apre (o riapre) le porte del sistema sanitario nazionale. Si tratta di un numero enorme (equivale a un quarto degli assunti) e potenziale, va specificato. Di una platea di camici bianchi, molto giovani o più in là con gli anni, ai quali potrebbe essere chiesto di rimpolpare i reparti svuotati da pensionamenti e scarsi investimenti del passato. I soldi per prenderli tutti non ci sono, perché servirebbero miliardi, e comunque non è necessario far entrare così tanto personale nelle corsie. Toccherà alle Regioni decidere dove investire, cioè quali reparti sono più in difficoltà e vanno rinforzati.
Nel nostro Paese ci sono specializzazioni in grande crisi e attività a rischio in regioni del Sud come del Nord. Gli ospedali hanno sempre più difficoltà a trovare ad esempio medici dell’emergenza (la cui carenza è tale che nel Patto sono previsti punteggi più alti nei concorsi per coloro che sono stati alcuni anni al pronto soccorso), pediatri, internisti, anestesisti e così via. I concorsi vanno deserti o quasi. Capita anche, con i turni che diventano sempre più duri e il lavoro per questo più usurante, che molti, circa 5mila all’anno, vadano via prima della pensione. Il quadro è reso ancora più fosco da pensionamenti in questo momento più numerosi delle uscite dalle scuole di specializzazione, che per ora portano ad avere 8mila medici in meno in corsia rispetto al 2010 e in prospettiva prefigurano una situazione anche peggiore.
La risposta del Patto per la salute siglato dal ministro Roberto Speranza e dalle Regioni va in due direzioni: aumentare i fondi e ampliare le categorie delle persone reclutabili. Intanto le Regioni potranno spendere circa 300 milioni (dei due miliardi di aumento del fondo sanitario del 2020) per assunzioni extra, sia di medici che di altro personale sanitario. Poi si è data la possibilità, già in parte prevista nel decreto Calabria, di fare contratti a termine a chi fa la specializzazione post laurea al terzo, quarto (in alcuni casi anche ultimo) e quinto anno di studi. Si tratta di 13.200 giovani, secondo i calcoli dei sindacati. Questi medici già guadagnano circa 1.600 euro al mese netti e potrebbero aumentare il loro compenso di 1.000 euro, avendo però più responsabilità. L’altra misura è dare la possibilità a chi è pensionabile (e quindi generalmente compie 65 anni) di restare in corsia fino a 70. L’anno prossimo, calcola l’Anaao, il principale sindacato dei medici ospedalieri, dovrebbero diventare sessantacinquenni circa 7mila professionisti. Ad alcuni di loro, se specialisti in una disciplina considerata carente, potrebbe essere proposto di restare. Ma la stessa sorte potrebbe riguardare almeno una parte dei circa 4.200 over 65 e under 70 che ancora lavorano perché non hanno acquisito il diritto ad andare in pensione. Il totale di camici bianchi che con le nuove regole si potrebbero reclutare, tra giovani e anziani, arriva dunque a quasi 25.000. Ma con 300 milioni di euro, anche nell’ipotesi irrealistica che con quei soldi vengano assunti solo medici, se ne possono prendere 3-4mila, un numero molto più basso di quello dei papabili.
Ad alcuni la possibilità di prolungare il lavoro fino a 70 anni, che già riguarda tutti i tanti medici universitari dei policlinici italiani, non è piaciuta. La Cisl annuncia proteste. Per Filippo Anelli della Federazione degli ordini dei medici «quella può essere una soluzione tampone a termine, ma la priorità ce l’hanno i giovani. Dobbiamo formare i giovani specialisti».
Ieri intanto, dopo dieci anni, è stato finalmente firmato (è infatti datato 2016-2018) il nuovo contratto di lavoro per la dirigenza medica e sanitaria. I camici bianchi da gennaio avranno in busta paga circa 200 euro lordi al mese in più. E quanto alla formazione, mentre il Cinquestelle Luigi Gallo rilancia la sua proposta per il superamento del numero chiuso a Medicina, la sua collega di partito Castellone ha presentato ieri un disegno di legge per cambiare quella post-laurea.
Anelli della Fnomceo “Utilizzare gli anziani può essere una misura tampone, ma serve formare i giovani” Firmato ieri dopo dieci anni il nuovo contratto di categoria: ogni mese un aumento di 200 euro lordi
LA REPUBBLICA