Il percorso è tracciato: sarà una legge quadro a definire i confini dell’autonomia regionale differenziata chiesta da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Dopodiché, da gennaio, i «desiderata» delle Regioni potranno approdare in Parlamento per il dibattimento. Lo ha confermato ieri il ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Francesco Boccia, nel corso dell’audizione a Montecitorio con le Commissioni Riunite Affari Costituzionali e Bilancio. Un percorso che Boccia ha definito «innovativo», per evitare sperequazioni con le aree più svantaggiate del Paese. Ma che, inevitabilmente, ha prestato il fianco alle critiche di chi ritiene la legge – specie in casa Lega – uno stratagemma per dilatare i tempi e annacquare i progetti delle tre Regioni. «Qual è l’innovazione? Vorremmo che tutte le intese istituzionali si innestassero su questa norma cornice – spiega il ministro Boccia – per raccordare coerentemente tutti i fondi dello Stato. Fondi che impattano sulla riduzione delle disuguaglianze sociali ed economiche». Il ruolo dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (i «Lep») attesi dal 2001 sarà determinante: «Saranno definite prioritariamente le quote delle risorse per tutte le aree in ritardo di sviluppo, non solo su scala regionale ma attraverso la distribuzione tra Regione, città metropolitane ed enti locali delle funzioni amministrative oggetto di devoluzione, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza previsti dall’articolo 118 della Costituzione».
Il risultato? «Una perdita di tempo», ha esclamato il deputato leghista Alberto Stefani, componente della Commissione Affari Costituzionali. «La legge quadro presenta già profili incerti dal punto di vista tecnico-giuridico. Ci chiediamo quali effetti possa sortire per il nostro ordinamento un simile provvedimento se non quello di rallentare i lavori. Pd e 5 Stelle hanno sempre visto l’autonomia come fumo negli occhi». Opposta l’opinione di Pd e Leu: «L’articolo 116 del Titolo Quinto della Costituzione (che assegna alle Regione la facoltà di chiedere l’autonomia su determinate materie, ndr .) – ha dichiarato Fabio Melilli, capogruppo dem in Commissione Bilancio della Camera – non può diventare il grimaldello per costruire un nuovo modello costituzionale per il quale lo Stato si spoglia quasi di tutto a favore delle regioni con il rischio di squilibri nelle diverse aree del Paese».
Ed è proprio su questo che esplode l’ennesima polemica, stavolta fra Luca Zaia e il segretario della Cgil Maurizio Landini: «Credo sia assolutamente importante smetterla di parlare di autonomia differenziata, non dobbiamo aumentare divisioni e differenze», ha affermato Landini ieri a Bari. Prendendo le distanze, di fatto, dalle parole di Boccia sul «compromesso» («sul quale la Cgil è d’accordo») in materia di scuola, con concorsi nazionali e assunzioni per Regione. «Landini dimostra di non conoscere il progetto di autonomia del Veneto. Non è la secessione dei ricchi, l’Italia è in una situazione storica nella quale è il centralismo che sta facendo danni», gli ha risposto Zaia.
Divergenze sulle quali, in serata, è piombato il giudizio tranchant di Giorgio Lattanzi, presidente della Corte Costituzionale: «Ho l’impressione che, in realtà, ci si stia muovendo in maniera ondivaga e che non ci sono idee», ha affermato rispondendo a una domanda del direttore del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Trento, Fulvio Cortese. «La mia impressione – ha dichiarato – è che oggi non ci sia una visione, ma visioni contingenti che cambiano di volta in volta, che non hanno un’idea vera alle spalle, o comunque un’idea che ha la forza di imporsi».
Il Corriere del Veneto