Il tema in realtà è un grande classico dei programmi di governo. Ma la sua comparsa nelle bozze circolate lunedì ha scatenato gli attacchi da parte del centro-destra sul rischio di «stangata» sulla casa. Nella versione finale, dopo qualche incertezza, il Catasto scompare, come certificato dal viceministro all’Economia Antonio Misiani (Pd) in serata a Porta a Porta. E con il Ddl cade ancora una volta il progetto di rivedere le basi imponibili su cui si calcolano le tasse del mattone.
Il tema è antico, e ha un ricco curriculum politico. Le rendite catastali, che misurano il valore fiscale della casa, sono scollegate dai livelli di mercato. In alcuni casi, soprattutto nei centri storici delle grandi città, sono molto più basse, e “premiano” i proprietari. Ma in molti altri, soprattutto nelle città medie e nei paesi schiacciati dalla lunga crisi immobiliare, sono più alte, e presentano un conto troppo salato. Di qui l’idea di rimettere ordine, che però accende i timori dei proprietari di vedersi presentare un rincaro generalizzato invece di una revisione neutra sul piano della pressione fiscale complessiva. La riforma era arrivata vicino al traguardo 4 anni fa, quando però il governo Renzi bloccò i decreti sulla porta del consiglio dei ministri.
Per un Catasto che esce, c’è un Ddl sostegno all’agricoltura che entra, festeggiato dalla ministra Teresa Bellanova come «primo segnale importante per rimettere il settore al centro dell’agenda politica». Agenda in realtà affollatissima, perché il Conte-2 sembra aver scelto lo strumento dei collegati alla manovra come sede per provare a disegnare un progetto di riforma complessiva ad ampio raggio.
Il tutto, per concretizzarsi, si dovrà tradurre in una pioggia di provvedimenti da gestire in Parlamento. Dove in realtà ci si dovrà occupare sotto questa forma anche di temi che puntano dritto al cuore della manovra. Un disegno di legge collegato dovrà introdurre la revisione del cuneo fiscale, a cui la Nadef dedica solo 2,5 miliardi in vista di una partenza a metà anno. E la stessa strada sarà seguita dal Green New Deal, che punta a convogliare fondi per 50 miliardi in 15 anni da dedicare agli investimenti verdi e agli incentivi per la riconversione produttiva. E nello stesso elenco compare anche il Family Act, cioè il progetto di marca renziana per il «sostegno e valorizzazione della famiglia» con la creazione di un assegno unico che raccolga le diverse forme di aiuto esistenti. Senza dimenticare il riordino dei ticket sanitari promosso dal ministro della Salute Roberto Speranza (Leu). Visto il peso specifico dei temi in gioco, è il caso di ricordare che il «collegamento» alla manovra ha un valore soprattutto politico, ma non offre una vera e propria corsia accelerata per questi provvedimenti che non entrano nella sessione di bilancio.
In alcuni casi, del resto, i titoli dei provvedimenti evocano riforme di sistema. È il caso dell’Autonomia differenziata, dove l’idea di un Ddl per «eliminare le disuguaglianze economiche e sociali fra i territori» traccia una strada opposta rispetto alle intese caso per caso seguita fin qui senza successo. O della riforma dei concorsi pubblici, su cui in Parlamento esiste già una delega firmata dall’ex ministra Giulia Bongiorno.
Nel lungo elenco non entra invece il tema pensioni. Segno che il governo per ora punta a limitarsi a interventi mirati, dalla proroga di opzione donna e Ape sociale alla pensione di garanzia per i giovani. Sempre che le incognite sulle coperture non riportino di attualità il dossier quota 100.