Ma come tamponare l’emergenza? Il piano triennale studiato dalle Regioni parte con una “bomba”: medici laureati e abilitati (cioè non specialisti) da arruolare nel Servizio sanitario «all’interno delle reti assistenziali, per lo svolgimento di funzioni non specialistiche». E con formule contrattuali tutte da elaborare. Una strada già avviata in realtà come il Veneto e il Piemonte tra non poche resistenze dei sindacati. Ma sdoganare l’ingresso dei non specialisti in corsia è vista come una delle scorciatoie più immediate per tamponare l’urgenza. Oggi mancano 7mila medici e se non si corre ai ripari diventeranno 16.500 nel 2025, per il sommarsi degli effetti della gobba pensionistica e di una programmazione sbagliata. L’emergenza legittima ricette di ogni tipo: oltre ai laureati (abilitati) in corsia – operativi nell’ambito di un’équipe che ne garantisca l’attività – il testo delle Regioni prevede nella sua prima versione incarichi libero-professionali sia per medici specialisti sia per dottori non ancora specializzati (fatte salve le discipline come Anestesia, Medicina nucleare, Radiodiagnostica e Radioterapia). E ancora, consente ai Governatori con i conti in ordine di stanziare soldi in più per medici o infermieri disposti a impegnarsi in attività particolarmente gravose o a prestare servizio in zone disagiate. Non solo: nei casi in cui non sia possibile coprire i fabbisogni, per un periodo limitato le aziende Ssn potranno chiedere a medici e veterinari a rapporto esclusivo prestazioni orarie aggiuntive (guardie escluse), fermi restando i vincoli sulla spesa per il personale. Via libera poi – sempre «per far fronte nel breve periodo alla carenza di specialisti» – alle deroghe all’orario settimanale di lavoro in linea con quanto consentito dalla direttiva Ue 2003/88.
Tra gi interventi strutturali si pensa all’uso delle graduatorie anche per l’assunzione di idonei non vincitori e nei limiti del fabbisogno triennale di personale (qui va modificata la legge) e nuovi regolamenti per snellire le procedure dei concorsi. C’è poi la questione dei fabbisogni, su cui già il precedente governo aveva cominciato a lavorare. Qui la prospettiva è allargare le maglie delle assunzioni: le Regioni chiedono di sfondare il tetto di spesa (+5% dell’aumento del Fondo sanitario) previsto dal decreto “Calabria”.
Poi c’è il delicatissimo tema della formazione, con l’adeguamento della durata dei corsi di laurea in Medicina e chirurgia e dell’ordinamento delle scuole di specializzazione alle regole dei principali paesi Ue. Una partita apertissima con l’Università, ma che consentirebbe, accorciando i tempi della formazione con una laurea abilitante in cinque anni, di ottenere prima professionisti formati e liberare risorse per le borse di specializzazione. E chi la borsa l’ha già conquistata? Se per gli specializzandi al IV e V anno vale il decreto Calabria, gli assessori propongono per tutti un contratto a tempo determinato di specializzazione e lavoro nelle aziende dove presteranno servizio con progressivo aumento di autonomia e responsabilità. E nella formazione specialistica varrà il “teaching hospital”: università e aziende ospedaliere accreditate, dove il medico effettui il proprio training formativo come dipendente, andranno in tandem.