Una quota 100 ridimensionata, più flessibile, forse un po’ più breve. In un Paese che invecchia rapidamente e che nel 2050 si avvia a un rapporto uno a uno tra pensionati e lavoratori (l’allarme è stato lanciato qualche giorno fa dall’Ocse) anticipare in modo generalizzato l’età di uscita non sembra la migliore delle ricette. In più, si avvicina la data della presentazione della legge di Bilancio, che dovrà reperire risorse straordinarie per sterilizzare del tutto o in parte le clausole Iva. Ecco perché al tavolo di studio del Pd su lavoro e sanità si sono messe in cantiere alcune proposte di modifica di quota 100. Modifica, non abolizione: uno stop improvviso creerebbe gravi disparità tra lavoratori in condizioni simili, e potrebbe persino generare situazioni analoghe a quelle degli esodati post riforma Fornero. «I destinatari di quota 100 — ragiona Marco Leonardi, ex consigliere economico del governo Gentiloni — godono di un beneficio di circa 40 mila euro, molto consistente. Certo non si può pensare di revocare la misura a chi ha già acquisito il diritto, anche se non l’ha ancora esercitato, o a chi ha già stipulato patti con l’azienda, ma pensare a una conclusione anticipata della misura significherebbe reperire 4 miliardi intervenendo su una platea molto ridotta, non più di 100-150 mila persone, a fronte di un intervento sull’Iva che, per quanto selettivo, sarebbe comunque regressivo, e colpirebbe fino a 40 milioni di persone».
Dal “tavolo” del Pd che ha studiato le proposte su welfare e sanità, che adesso verranno discusse con il Movimento Cinque Stelle, sono state elaborate alcune proposte di modifica della misura: «Noi preferiremmo un’Ape Social strutturale, — spiega Annamaria Parente, vicepresidente della commissione Lavoro del Senato — che includa anche i lavori gravosi, individuati dalla commissione che avevamo istituito per una verifica dei requisiti. Il tetto dei 38 anni di contributi è poi troppo rigido, penalizza le donne e i lavoratori discontinui. Per le donne si potrebbe pensare ad aggiungere 12 mesi per figlio, o a una correzione di due anni». A fronte di questa maggiore flessibilità, per limitare i costi le ipotesi sono di portare l’età di uscita a 64 anni, o di anticipare la fine di quota 100 al 2020.
«Quota 100 è servita a sbloccare il ricambio generazionale. — osserva Mattia Fantinati (M5S), sottosegretario alla P.A. — Fermi restando i principi di equità inter e intragenerazionale, non è, ovviamente, l’unica formula. Al Pd dico, vediamo la vostra proposta. Ma quei principi, che anche a loro dovrebbero essere cari, non si toccano. Mi sembra giusto, poi, l’approccio da seguire, indicato con lungimiranza da Conte. Una sintesi che vada oltre le visioni di parte».
Su una revisione di quota 100 c’è anche la proposta dei sindacati: «Sarebbe un errore interromperla prima del tempo, visto che i costi sono inferiori alle previsioni. — dice Roberto Ghiselli, segretario confederale Cgil — Ma noi siamo soprattutto per una riforma strutturale, con una flessibilità in uscita dai 62 anni, valorizzando le contribuzioni di chi svolge lavori gravosi o di chi ha maggiori buchi contributivi, le donne e i giovani. Per i giovani poi bisogna pensare a una pensione di garanzia».
Repubblica