Un sistema di 5 numeri da 1 (i casi più gravi) a 5 (“non urgenza”) a cui le Regioni potranno associare un codice colore: rosso per un’emergenza che richiede accesso immediato; arancione per urgenze dovute al rischio di compromissione di funzioni vitali o condizione stabile con rischio evolutivo o dolore serio (accesso entro 15 minuti); azzurro per interventi che vanno gestiti entro un’ora; verde per urgenze minori da gestire entro due ore; bianco per interventi non urgenti da gestire entro quattro ore. È questa la prima novità del “pacchetto” di misure sul Pronto soccorso su cui dopo anni di stallo e mesi di condivisione tecnica è arrivato l’Accordo in Conferenza Stato-Regioni e che dovrà diventare operativo entro 18 mesi.
Il “pacchetto” sulla nuova gestione di Triage , Obi e sovraffollamento
«C’è stato un intenso lavoro – ha affermato il presidente Stefano Bonaccini – che ha portato a questi testi condivisi in cui sono state recepite molte indicazioni dei tecnici». Mentre per Sergio Venturi, coordinatore vicario della Commissione Salute, «l’Accordo è positivo perché allinea l’Italia agli standard internazionali, perché considera la presa in carico della persona nella sua interezza e infine perché pone le basi per ridefinire e valorizzare il ruolo della medicina d’emergenza-urgenza e delle strutture dei Pronto soccorso».
Nell’anno e mezzo previsto per la transizione si punterà a una migliore organizzazione degli spazi, distinguendo, nell’ambito della presa in carico, un’area di Osservazione breve intensiva che comporti, oltre all’osservazione clinica, una terapia a breve termine e la possibilità di approfondimenti diagnostici. Uno strumento pensato – spiegano dalle Regioni – anche per ridurre ricoveri inappropriati e per aumentare la sicurezza delle dimissioni dal Pronto soccorso, ma che per funzionare avrà bisogno di una dotazione organica adeguata e una posizione adiacente ai Pronto soccorso.
«Ma la vera scommessa – ha affermato Venturi – è delineata nel piano per gestire il sovraffollamento fondato su una interazione funzionale fra ospedale e territorio con una definizione dei ruoli e delle reti sia ospedaliere che territoriali. Il modello proposto è quello “hub & spoke”, con la conseguente classificazione delle strutture ospedaliere in funzione della diversa complessità clinico-assistenziale, differenziando i presidi ospedalieri in sedi di Pronto soccorso, Dea di 1° livello e Dea di 2° livello».
Il nodo della carenza di personale e di linee guida «isorisorse». Il documento sul nuovo triage e sulla riorganizzazione della presa in carico del cittadino rischia di restare sulla carta se non si metterà mano anche alle profonde carenze che oggi ingolfano il collo di bottiglia tra Pronto soccorso e reparti. Carenze che innanzitutto sono imputabili alla scarsità di personale e di posti letto, oltre che a un’organizzazione di tutta la struttura ospedaliera che le nuove linee di indirizzo puntano finalmente a definire. Il fatto che il “pacchetto” di nuove regole sia varato “isorisorse” non fa ben sperare per un cambio di passo effettivo e rapido. A puntare il dito sulla difficoltà di passare dalla teoria alla pratica è a caldo il Codacons. «Non serve a nulla introdurre nuovi codici per classificare le emergenze quando i pazienti, una volta entrati nei Pronto soccorso, sono costretti ad attese estenuanti di ore e ore prima di essere visitati – spiega il presidente Carlo Rienzi -. Ci sono situazioni, specie nei nosocomi del sud Italia, dove il livello di assistenza è da terzo mondo, con i cittadini abbandonati nei corridoi e nelle corsie perché la carenza di personale medico non consente di far fronte alle richieste. Le criticità dei pronto soccorso italiani non si risolvono certo ricorrendo a nuovi codici per il triage, ma aumentando il numero di medici e infermieri in grado di fornire una assistenza adeguata ai pazienti».
I numeri su medici e infermieri. Mancano 2mila medici e circa 10mila infermieri, anello fondamentale dei Pronto soccorso visto che spetterà soprattutto a loro l’assegnazione del codice numerico. È il presidente della Società scientifica Simeu Francesco Rocco Pugliese, a capo del Pronto soccorso del “Pertini” a Roma, a dare il quadro sui camici bianchi: «Le 400 borse di specializzazione conquistate quest’anno sono ancora poche e in ogni caso sforneranno specialisti non prima di un quadriennio. Intanto oggi dal Pronto soccorso i medici fuggono per il burnout, le aggressioni da parte dei pazienti e la mancanza di incentivi economici che compensino il disagio lavorativo». E la situazione non migliorerà nei prossimi anni: l’Anaao Assomed ha stimato che da qui al 2025 a causa delle uscite per pensionamenti aumentate anche a causa di Quota 100 mancheranno nella medicina d’emergenza-urgenza oltre 4.200 medici. Si tratta in assoluto della specializzazione medica con più carenze. Tanto che la stessa Anaao ha messo a punto un piano di riforma incentrato su diversi punti tra cui incentivi per migliorare le condizioni di lavoro, la corretta previsione del fabbisogno di personale, la gestione adeguata dei codici minori con il coinvolgimento dei medici di famiglia.
Aspettando che il territorio batta un colpo, protagonisti assoluti del triage sono gli infermieri, cui il nuovo sistema affida non solo l’assegnazione del codice numerico ma anche la rivalutazione del paziente e il suo eventuale inserimento nel percorso “See&Treat” che porta a una visita specialistica. Il nursing specializzato è insomma un anello fondamentale dei Pronto soccorso, ma anche qui la Federazione degli infermieri (Fnopi) stima una carenza di 10mila addetti a fronte di un fabbisogno di almeno 30-35mila triagisti esperti. A gettare acqua sul fuoco è però proprio un infermiere: «Le carenze di personale – afferma Giovanni Becattini, presidente del Comitato infermieri dirigenti della Toscana e coordinatore regionale della formazione sul triage – ci saranno o meno in base a come e quanto le Regioni decideranno di far proprie le novità. I 5 codici consentiranno di differenziare i fabbisogni di figure professionali perché emergeranno chiaramente le problematiche a bassa complessità e quindi la diversificazione dei percorsi-paziente nei casi meno urgenti. È probabile che l’alta specializzazione sia medica che infermieristica possa essere riservata ai codici 1 e 2, i più gravi, che cumulano il 10% degli accessi».
A chiedere la «piena e uniforme applicazione del documento nelle Regioni» è anche Fabiola Fini, presidente della Fimeuc, la Federazione italiana Medicina di Emergenza-Urgenza e delle Catastrofi, che ha partecipato con le altre sigle dell’emergenza medica e infermieristica ai lavori del ministero della Salute. Poi Fini accende i riflettori sui finanziamenti: «Il documento è isorisorse – ricorda – ma è chiaro che per potenziare gli organici, fare formazione e riorganizzare l’intera gestione dell’emergenza servono soldi. Su questo ci aspettiamo che il ministero batta un colpo».