Autonomia, lo scontro viaggia sulle onde corte. Nel giro di un paio d’ore, ai microfoni di Radio Anch’io e Centocittà, ieri mattina, si sono alternati sul ring radiofonico i governatori di Veneto e Lombardia Luca Zaia e Attilio Fontana, mattatori con le loro lettere al premier dell’indignazione del Nord ma anche Nello Musumeci, governatore siciliano e Vincenzo De Luca, collega della Campania e grande accusatore del divario esistente con «gli amici del Nord» come li definisce ostentatamente. Non basta, oltre a parecchi governatori e un paio di sottosegretari, c’erano anche un costituzionalista, il «serenissimo» Mario Bertolissi e l’alfiere del no all’autonomia vista da Sud, Gianfranco Viesti che può vantare il copyright sull’espressione «secessione dei ricchi». Se non altro l’autonomia morente nelle sabbie mobili romane ha incendiato il confronto nazionale.
L’impennata polemica degli ultimi giorni, la sollevazione dei presidenti, dal ligure Giovanni Toti al toscano Enrico Rossi, tutti a chiedere conto al premier Giuseppe Conte lascia spazio a interpretazioni stratificate. C’è chi giura che Matteo Salvini, alle prese con il momento più delicato di questo esecutivo, sia orientato a scegliere proprio l’autonomia come punto di rottura per scansare la manovra d’autunno da lacrime e sangue. Anche ai partiti di governo. E fonti ministeriali spergiurano che non è assolutamente vero. Fatto sta che il «tutti contro tutti» di queste ore ha ottenuto un risultato concreto: aumentare la confusione. Di più, la richiesta avanzata da Musumeci e De Luca, ma persino dal filo leghista Toti e dal dem Rossi affinché Conte allarghi il tavolo sulle autonomie differenziate anche alle altre Regioni potrebbe configurarsi come la pietra tombale su un iter già martoriato dalle discussioni fra Lega e M5s all’interno del governo. Un’autonomia per tutti equivarrebbe insomma a un’autonomia per nessuno nei fatti.
Le sporadiche incursioni di De Luca degli scorsi mesi nel giro di qualche giorno si sono moltiplicate e allargate ad altri governatori. Complicato vederci un disegno preciso vista la diversa appartenenza politica ma il dato oggettivo resta: i fronti di battaglia di sono moltiplicati con il rischio di rallentare ulteriormente la redazione della «proposta governativa».
Nel frattempo Zaia e Fontana non mollano, anzi. «Questo Paese può anche decidere di non adottare l’autonomia differenziata. – scandisce tagliente Zaia – Però a questo punto si abbia il coraggio di andare in Parlamento e di modificare la Costituzione e decidiamo una volta per tutte che questo Paese è centralista». Zaia e Fontana ripetono fino allo sfinimento che no, non ci sarà un Paese di serie A e un Paese di serie B, e no, non si «ruberà» un euro dai fondi destinati al Sud e soprattutto che non si parli di secessione dei ricchi. Così come entrambi ribadiscono che non firmeranno una «finta autonomia».
La storia raccontata da De Luca è un’altra: «Serve un’operazione verità – attacca – i numeri sono incontrovertibili e i dati forniti dal sistema dei conti pubblici nazionali non mentono. Per la spesa storica pubblica allargata oggi il Sud riceve circa 12.000 euro pro capite a fronte dei circa 14.900 del Nord, 3.000 euro in meno che per la Campania arrivano a essere 4.000 euro. La cristallizzazione della spesa storica penalizzerebbe il Sud». E il governatore campano ribadisce i caposaldi della sua proposta di autonomia: «Stesse risorse pro capite e fondo di solidarietà per il Sud». E non risparmia, infine, una stoccata al Veneto, reo, secondo De Luca, di aver accettato la «porcheria» dei Navigator che invece la sua Regione ha rifiutato. Gli risponde l’assessore regionale al Lavoro Elena Donazzan: «Ha perso una buona occasione per tacere, le Regioni hanno ottenuto di governare e gestire la vicenda dei navigator». Interviene anche Musumeci che pur ribadendo l’autonomismo dei siciliani ricorda sibillino che le ripercussioni dell’autonomia peseranno su tutte le altre Regioni. A Conte ho chiesto un tavolo per tutte le Regioni e va chiarito che un Nord in crescita e un Sud arretrato condannano l’Italia all’immobilismo». Insomma, la scalata è in corda doppia secondo i governatori del Sud, che abbracciano la proposta del premier di un «Patto per il Sud». I cui contenuti, per la verità, sono ancora tutti da sviscerare . Il Sud chiede un tavolo per ribadire la necessità di un fondo perequativo, la Liguria con Toti lo chiede apparentemente per accelerare: «Siamo incartati come un po’ tutte le cose importanti che riguardano il governo». Richieste di stampo diverso, se non opposto, che però chiudono una tenaglia intorno al premier e (effetto collaterale?) rischiano di inchiodare il già travagliato iter di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna a una plenaria che ne suggellerebbe la morte. Tanto più che non manca neppure il cuneo di centrosinistra rappresentato dal governatore della Toscana Enrico Rossi: «Se andranno avanti così, le Regioni del Nord avranno 2 miliardi e mezzo in più e il Sud ne perderà tre. In sostanza, vuol dire che vince chi è già ricco. Si è parlato di secessione dei ricchi. In effetti è così,inutile girarci intorno», spiega Rossi che, per non essere travisato, precisa: «di questo accordo penso tutto il male possibile». E pure lui chiede la plenaria dei governatori a Conte.
Il Corriere del Veneto