«Credo che sia cosa buona e giusta riunire le parti sociali a Palazzo Chigi», ha commentato il premier. «Verrà pubblicato un calendario di incontri e tutti i ministri parteciperanno». Resta ancora in realtà da definire la compagine di Governo, e non è un dettaglio: è stata valutata l’ipotesi di limitare gli incontri ai soli ministri competenti per materia, ma escluderebbe i rappresentanti della Lega. Il partito di Salvini, d’altronde, come rimarcano da Palazzo Chigi, deve ancora indicare i suoi delegati ai tavoli che erano stati decisi a metà giugno proprio per individuare una ricetta comune sulle misure da inserire nella legge di bilancio. Tavoli che ora vengono derubricati a «sintesi prettamente tecnica» delle indicazioni attese dai workshop. E che si sono ridotti da 7 a 5: spending review, tax expenditures e cuneo fiscale; riforma fiscale; privatizzazioni; investimenti ed export; Sud.
I sindacati restano alla finestra, scettici . I leader di Cgil, Cisl e Uil ribadiscono «la necessità di avviare una fase di vero confronto, stringente, concreto e costruttivo con il Governo sui provvedimenti economici e sociali» e ricordano di aver già illustrato in più occasioni al premier e ad altri esponenti dell’Esecutivo la loro piattaforma unitaria. Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo sottolineano inoltre di essere ancora in attesa delle convocazioni promesse dopo l’incontro di inizio luglio con Conte e Di Maio (con cui lunedì lo scontro è stato duro). «Se dunque il Governo – affermano – intende avviare davvero una fase di confronto con le parti sociali a Palazzo Chigi, sede di coordinamento delle scelte dell’Esecutivo, il sindacato non si sottrarrà al suo ruolo di rappresentanza».
Il disorientamento è inevitabile, dal momento che Salvini ha promesso di riconvocare imprenditori e sigle sindacali il 6 o il 7 agosto. Una doppia corsia che rivela le tensioni tra Lega e M5S. E quelle sulla manovra rischiano di acuirsi. Anche perché su fisco, salario minimo e piano per il Sud, le due ricette presentano, ad oggi, pochi punti di contatto. Distanze marcate potrebbero emergere poi sul pacchetto famiglia e sui tagli alla spesa da far scattare con la legge di bilancio 2020. Che, al momento, viaggia tra i 30 e i 35 miliardi. In un’audizione al Senato l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha quantificato in 27,6 miliardi il conto obbligato da affrontare per sterilizzare gli aumenti Iva (23,1 miliardi), coprire le “spese indifferibili” (2,7 miliardi) e finanziare gli investimenti (1,8 miliardi). Il Governo dovrà poi trovare le risorse necessarie per far fronte alla correzione che sarà chiesta da Bruxelles per restare nei “parametri” Ue. I margini per aprire la strada a misure espansive appaiono dunque ristretti (non più di 4-5 miliardi). E, almeno sulla carta, scarsamente compatibili con la flat tax da 12-13 miliardi su cui spinge la Lega. La posizione del M5S è vicina a quella del ministro Giovanni Tria: un intervento più contenuto (4-5 miliardi) con la revisione al ribasso delle aliquote Irpef, l’ampliamento della no tax area e coefficiente familiare. Per il Carroccio invece non è scontata la nuova decontribuzione per le nuove assunzioni al Sud annunciata dalla ministra Lezzi. Il braccio di ferro è già evidente sul salario minimo, caro ai Cinque stelle ma non gradito alla Lega (e alle parti sociali). Per ora l’unico denominatore comune è il taglio del cuneo, ma con sfumature diverse. Il M5S lo prospetta come una compensazione del nuovo salario minimo a 9 euro. Alcuni dati li fornisce il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: un alleggerimento di due punti del cuneo (quasi 6 miliardi) coprirebbe quasi in toto il maggior costo del lavoro per le imprese.