Alla seconda votazione David Sassoli, il candidato dei socialisti, è stato eletto presidente del Parlamento europeo con 345 preferenze, 11 voti oltre la maggioranza necessaria. Un passaggio di consegne tutto italiano con Antonio Tajani, alla guida dell’Assemblea dal 2017 e da ieri capodelegazione di Forza Italia nel Ppe.
Più lunga, invece, l’elezione dei quattordici vicepresidenti: Massimo Castaldo del M5S, che già ricopriva l’incarico nella passata legislatura, è riuscito nell’impresa non facile di farsi nominare con 248 preferenze pur senza il sostegno di un gruppo politico. Non ce l’ha fatta Mara Bizzotto capodelegazione della Lega, che per protesta ha lasciato l’Aula: «Ci hanno estromesso».
Sassoli ha incassato il sostegno del Ppe (anche se FI ha votato scheda bianca) e dei liberali di Renew Europe, come dagli accordi della vigilia e dall’intesa raggiunta dal Consiglio Ue sui cinque top jobs, che ha attribuito la guida della Commissione alla popolare tedesca Ursula von der Leyen, la Bce alla francese Christine Lagarde e ai socialisti il Parlamento Ue. Un pacchetto contestato nel metodo da parte dei socialisti, che si sono poi ricompattati sul nome dell’ex giornalista Rai, ormai da dieci anni a Bruxelles. Il metodo è stato contestato anche da Tajani, che in apertura di seduta ha ribadito l’indipendenza del Parlamento Ue: «Procederemo all’elezione del presidente di questo Parlamento conformemente al regolamento e non in base a decisioni e proposte esterne: questo è un Parlamento libero e autonomo». Lega e Fdi hanno optato per il conservatore Ecr Jan Zahradil, mentre il M5S ha lasciato libertà di voto, ma secondo le indiscrezioni avrebbero scelto il candidato pd. Sassoli, «emozionato» come ha ammesso nel discorso di insediamento, ha spiegato che bisogna «recuperare le idee dei padri fondatori. In troppi hanno scommesso sul declino di questo progetto alimentando divisioni, invece i cittadini hanno dimostrato di crederci». Bisogna «coniugare progresso tecnologico, sviluppo delle imprese, tutela dei lavoratori, rispetto dell’ambiente, più parità di genere» . E a margine ha aggiunto: «Spero che l’Italia oggi sia contenta». Per il capo dello Stato, Sergio Mattarella, la sua elezione è «testimonianza dell’ampia fiducia riposta nella sua persona». Critico, invece, il vicepremier Matteo Salvini: «Per il nuovo presidente del Parlamento Ue, eurodeputato del Pd ed ex giornalista Rai, “il Parlamento sarà sempre più aperto alle Ong”. Siamo su Scherzi a parte… parlava di un cordone sanitario contro la Lega e i populisti». E per Giorgia Meloni di FdI Sassoli «inizia malissimo: non basta essere italiani per difendere gli interessi dell’Italia».
Un kennediano fiorentino dalla Rai a Bruxelles. «Il segreto? Pianto e zappo»
«L’aspetto non mi ha mai ostacolato, ma non sono un divo, sono molto noioso», ha detto una volta di sé David Sassoli con britannico understatement . La vaga somiglianza con il Robert Redford di «Tutti gli uomini del presidente» ha sicuramente giovato al giornalista e deputato del Pd, eletto ieri alla guida del Parlamento europeo.
Da inviato speciale del TG3 di Sandro Curzi per fatti di mafia e criminalità, da collaboratore di Michele Santoro ne Il Rosso e il Nero, da conduttore di La cronaca in diretta e soprattutto da anchorman del TG1 delle 20, Sassoli è stato per lunghi anni un volto riconoscibilissimo della Rai.
Nel giornalismo è stato figlio d’arte. Suo padre, Domenico, fu una firma di politica estera prima a La Nazione e poi a Il Popolo. Ma le mostrine se l’è dovute conquistare da solo. Raccontano che nel 1985 l’assunzione al Giorno, il suo primo lavoro fisso, venne favorita da uno scoop che aveva rivelato a un collega di Famiglia Cristiana dopo un viaggio a Parigi: Gianni De Michelis aveva detto a Oreste Scalzone che si stava lavorando a un’amnistia. Sassoli lo aveva sentito personalmente. Il settimanale pubblicò la notizia, che fece arrabbiare il presidente Pertini e gli procurò l’ostilità del ministro. Ma il fiuto del ragazzo, allora neppure trentenne, gli valse il contratto al quotidiano dell’Eni.
David Sassoli è nato a Firenze nel 1956. Ma anche se tifa Fiorentina e mette Giorgio La Pira nel suo Pantheon, le radici le ha messe a Roma. È al liceo Virgilio che ha conosciuto Alessandra Vittorini, la compagna di scuola che ha poi sposato e con la quale ha fatto due figli. Il mondo della sua formazione è stato quello del cattolicesimo progressista romano, da Moro a Bachelet.
Una figura soprattutto, il giornalista Paolo Giuntella, scomparso undici anni fa, che gli fu mentore e amico, ha segnato il suo percorso intellettuale. Sassoli è stato attivo nei circoli animati da Giuntella, come «Il Ferrari» e la «Rosa Bianca», quest’ultima ispirata all’omonimo movimento di giovani cristiani tedeschi che si oppose al nazismo. Un legame così forte, che nel discorso d’investitura Sassoli ha citato proprio Sophie e Hans Scholl, i leader della Weiss Rose: «La nostra storia è scritta sul loro desiderio di libertà».
E poco dopo l’elezione, il neo-presidente ha twittato anche una frase di Aldo Moro: «Si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà. Si tratta però anche di essere coraggiosi e fiduciosi».
All’impegno pubblico, Sassoli arriva nel 2009. Quando Walter Veltroni dà vita al partito democratico, è fra i primi a aderire. Con la sua aria kennediana, è un perfetto candidato da copertina per le europee del 2009: capolista nell’Italia centrale, viene catapultato all’Europarlamento da oltre 400 mila preferenze. Il salto è compiuto. Dice di volersi dedicare alla politica «per tutta la vita». Sassoli non lo sa, ma sta dando ragione a Henry Kissinger che una volta mi disse: «Journalism is for boys».
Ci sarà, nel 2012, la delusione delle primarie democratiche per la scelta del candidato sindaco di Roma: Sassoli è secondo dietro Ignazio Marino ma davanti a Paolo Gentiloni. Poi nel 2014 il ritorno a Strasburgo, nel Pd ormai renziano e parte della famiglia socialdemocratica. Viene eletto vice-presidente del Parlamento, un buon viatico col senno di poi. Si occupa soprattutto di trasporti, firmando il rapporto parlamentare sulla riforma ferroviaria in Europa e l’unificazione dello spazio aereo. Il 26 maggio è rieletto per la terza volta con quasi 130 mila preferenze.
Gli amici di una vita lo descrivono «tranquillo, paziente e tenace». Se gli hobby sono un’indicazione, la sua dedizione al giardinaggio, che Sassoli pratica nella casa di campagna a Sutri, può suonare come una conferma: «Io pianto e zappo». Sono doti che gli serviranno da presidente del Parlamento: «Nessuno in Europa — ha detto ieri — può accontentarsi di conservare l’esistente. Dobbiamo avere la forza di rilanciare il nostro progetto d’integrazione, cambiando l’Unione per dare risposte vere alle preoccupazioni e al senso di smarrimento dei nostri cittadini».
Il Corriere della Sera