Se non altro ora tutti sanno cosa sono gli specializzandi. Sono quelli che dovrebbero salvare l’Italia da una carenza di medici così grave da mettere in ginocchio il servizio pubblico: sono i nuovi camici bianchi. O almeno sperano di diventarlo, visto che a fronte di 10mila laureati lo Stato paga 8100 borse di studio per le Scuole di specializzazione. Più delle 6900 del 2018, ma sempre poche. E per di più non ancora certificate dal ministero della Salute. Ennesima incertezza, che però ieri non ha fermato i 1800 iscritti al test di ammissione alle Scuole di specialità di area medica. «Il sogno di una vita racchiuso in 140 domande a risposta multipla — riflette Anna, che arriva da Venezia e ripete l’esame per la terza volta —. Io il lavoro ce l’ho, faccio le guardie mediche all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso e le sostituzioni dei medici di base. Guadagno 2500 euro al mese, il doppio di quanto prende uno specializzando, ma sono formata a metà e non è una condizione da mantenere a vita». «Quando non riesci a specializzarti subito dopo la laurea e resti un anno nel limbo, i sogni crollano — confessa la vicentina Alice, al secondo tentativo —. Io assisto i codici bianchi al Pronto Soccorso del San Bortolo e se prima volevo fare l’otorino adesso mi basta riuscire a specializzarmi, non importa la disciplina». «Io invece voglio fare Cardiologia o Medicina d’urgenza — confida Lara, sua concittadina e collega —. L’esperienza al Pronto Soccorso è molto bella e formativa, però il futuro incerto è demotivante».
In coda, in attesa di entrare nell’aula didattica Taliercio, ci sono ragazzine fresche di laurea, giovani incinte, aspiranti specializzandi accompagnati dalle fidanzate e qualcuno pure dalla mamma con la merenda (frittate, panini, frutta, tanta acqua) e la pazienza di aspettarli due ore e mezza all’uscita. Sotto un sole impietoso. «Il sistema non ci rende le cose facili — conviene Marco, padovano al «debutto» — non solo non sappiamo quante borse di studio ci siano, ma nemmeno se bisognava pagare o meno i 100 euro da versare dopo l’ufficializzazione del loro aumento. Io li ho pagati, tanti altri no. Per di più mi devo ancora abilitare, perchè il ministero ha fissato prima il test di ingresso alle Scuole di specialità e poi, il 18 luglio l’esame di Stato». Ma lui non molla, ha la passione dalla sua parte, vuole fare l’infettivologo: «Mi piacciono le bestioline». «Io invece il reumatologo — annuncia Lorenzo di Verona —. Spero di non trovarmi le domande assurde del passato, tipo l’anno della morte di Socrate».
Quando i custodi aprono le porte, inizia l’esodo. L’appello, il «sequestro» di telefonini, borse e zaini. «Non possiamo tenere nemmeno una matita o un foglio bianco — spiega una candidata triestina — solo acqua, cibo e medicine. L’anno scorso però si sono dimenticati di sequestrare gli orologi con Internet. Per me è la terza volta, ho abbandonato una Scuola di specializzazione di Trieste dove non s’imparava niente. Noi siamo quelli che poi devono curare le persone, altro che i pensionati. Follia, soprattutto perché ci sono 10mila medici a spasso che non riescono a specializzarsi e chi chiede l’abolizione del numero chiuso a Medicina invece dell’aumento delle borse di studio per gli specializzandi è una capra». Gli ultimi ripassi su quadernoni e libri, la telefonata al moroso e poi tutti nelle 1800 postazioni (700 allestite per l’occasione) sorvegliate da 250 addetti. «Quest’anno le ragazze sono il 58% dei candidati — illustra Andrea Grappeggia, dirigente dell’area didattica e servizi agli studenti dell’Università di Padova — sono tante le laureate nell’area medica. Il nostro Ateneo conta 46 Scuole di specializzazione, è sede d’esame per il Nordest e per il 2019 ha ricevuto dallo Stato 423 borse di studio, il 37% in più rispetto al +31% di media nazionale. Poi ci sono le 90 borse pagate dalla Regione: 60 per Padova e 30 per Verona. I candidati che si piazzeranno in cima alla graduatoria, nazionale, potranno scegliere la sede».
Ma con tutti ‘sti problemi e con gli stipendi più bassi d’Europa, ha ancora appeal il camice? «Io sono emigrato dal Camerun per laurearmi a Padova, nel 2014 — dice «Sem» —. Da allora tutti gli anni provo il test e intanto lavoro. Ma non salvo vite: faccio il medico legale ».
Il Corriere del Veneto