Le due sfide sono collegate, perché la doppia spinta al debito portata dalla crescita quasi piatta e dall’ampliamento dei confini contabili della Pa riduce gli spazi per voli programmatici. Ma la tassa piatta è stata fra domenica e ieri l’ennesimo terreno dello scontro Lega-M5S. A placare ore di polemiche piuttosto confuse su «proporzionalità» o «progressività» dell’aliquota unica è intervenuta la nuova mediazione di Conte. Non solo il leader leghista Salvini ma «tutto il governo spinge per la flat tax» – ha spiegato il premier da Milano – ma «per realizzarla serve tempo». La mossa di Conte serve anche ad abbassare la temperatura di una giornata che ha visto slittare il vertice politico sul Def, complice l’allungarsi del confronto con i risparmiatori. Perché ad agitare il governo ci sono anche gli obiettivi di crescita da certificare nel Def, che continuano a oscillare fra il “prudente” 0,2% del Mef e le ambizioni di Lega e M5S che puntano almeno allo 0,3-0,4%. Il tutto mentre il decreto che alla «crescita» è intitolato deve ancora risolvere i problemi e copertura e la definizione puntuale di un testo parecchio eterogeneo. Ma il quadro di finanza pubblica resta ancorato a un tendenziale a +0,1%, con deficit al 2,4% reso possibile anche dai due miliardi congelati a dicembre. Una notizia positiva è arrivata ieri però dall’Upb, che calcola in 4,1 miliardi la spesa attivabile in fretta dagli enti territoriali con la riforma del pareggio di bilancio scritta in manovra, in un quadro di avanzi «sbloccati» che vale oltre 15 miliardi.
Sul fisco, il punto di caduta possibile passa dall’inserimento nel Def di un passaggio, per ora assente nelle ultime bozze di ieri, che ribadisca l’impegno del governo a introdurre l’anno prossimo un primo scalino verso la tassa piatta (le ipotesi leghiste puntano a 50mila euro, più che sui 30mila già comparsi nelle prime versioni del Pnr). «Ci sarà con il coefficiente familiare come avevamo chiesto», giura il vicepremier Di Maio, mentre il progetto leghista punta su una tassazione che applichi aliquote e detrazioni al reddito di tutta la famiglia. Ma gli snodi operativi, coperture in primis, saranno affrontati in autunno, come il ministro dell’Economia Tria ha già spiegato in più di un’occasione.
Ma nelle stesse ore arriveranno i dati Istat con gli ultimi numeri sul debito, che dovranno tener conto dell’allargamento della Pa imposto da Eurostat includendo nel conto Rete ferroviaria italiana, Ferrovie Nord e una serie di finanziarie regionali (Piemonte e Lombardia oltre a Val d’Aosta, Trentino e Abruzzo). Le nuove cifre determineranno un’altra spinta al rialzo del rapporto debito/Pil, già indicato in crescita nel 2018 (per lo 0,3% a causa dell’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro) e nel 2019; perché oltre al Pil reale scende anche l’inflazione e quindi si allarga la distanza fra crescita nominale e tassi d’interesse. Quando il costo implicito del debito supera la crescita nominale so ha un aumento “automatico” del debito/Pil, che le bozze fissano al 132,6% per quest’anno ma che nei testi finali potrebbe lievitare ancora per i dati Istat. È lo stesso governo a spiegare nelle bozze del Def che «la regola di riduzione del debito nel 2018 non è stata osservata in nessuna delle sue configurazioni». E il nuovo incremento non aiuta, anche perché la dinamica tiene conto del maxi-piano di privatizzazioni da 18 miliardi, a cui si aggiungerebbe un altro pacchetto da quasi 6 miliardi nel 2020. Sfide complicatissime. Anche se il governo spera nella «sostanziale compliance del programma di finanza pubblica» con il braccio preventivo del Patto di stabilità» che «dovrebbe costituire un fattore rilevante per la valutazione» Ue.
Questo «sostanziale rispetto» dipende soprattutto dal fatto che la gelata congiunturale aumenta la «componente ciclica» del deficit, per cui la parte strutturale evita quest’anno di aumentare. Anche grazie alla “flessibilità” da 4 miliardi (0,2%) spuntata a dicembre per terremoto e piano infrastrutturale.
Il Sole 24 Ore