Con i cento ragazzi che oggi e domani saranno sottoposti al test di Mantoux — studenti di seconda media che frequentavano la scuola elementare di Motta di Livenza fino al giugno 2017 —, nella Marca si arriva quasi a quota mille screening per individuare il bacillo della tubercolosi. A cui si aggiungono centinaia di approfondimenti di laboratorio ed esami diagnostici. Il tutto in poco più di un mese dal primo caso di Tbc, emerso il 5 marzo. «Si tratta di un’attività importante, che ha richiesto un notevole impegno — conferma il direttore del Servizio di Igiene dell’Usl 2 Marca Trevigiana, Sandro Cinquetti —. Abbiamo deciso di estendere il test di Mantoux ai ragazzi e a un ristretto numero di insegnanti che hanno lasciato la scuola primaria due anni fa, dopo aver riscontrato due positività sui 92 studenti oggi iscritti in prima media. Pur sapendo che potrebbe essere il frutto di una situazione normale, abbiamo ritenuto di allargare il Mantoux in via precauzionale, ipotizzando che nel 2017 la maestra fosse già infettiva. È un’ipotesi remota ed estrema, ma abbiamo ritenuto di procedere e ora siamo molto vicini alle mille persone sottoposte al test».
Tutti soggetti entrati in contatto, direttamente o marginalmente, con la maestra elementare da cui tutto è partito. Per trent’anni, senza saperlo, ha portato con sé il bacillo di Koch, veicolo della Tbc, rimasto latente. Poi, per un abbassamento delle difese immunitarie, è esploso in tutta la sua ferocia, contagiando 8 alunni e un’altra maestra, con il risultato di 10 pazienti malati e 36 positività al test. Gli ultimi due studenti positivi al solo Mantoux (non alla successiva radiografia toracica) hanno avviato la chemioprofilassi, per loro la paura è finita, ma la storia del focolaio epidemico di Motta di Livenza ormai ha fatto il giro d’Italia. «Ha avuto un rilievo mediatico raro — conferma Cinquetti —. L’Istituto superiore di Sanità ci ha comunicato che in questo momento è il focolaio più importante del Paese, oggetto di un considerevole interesse scientifico».
Dopo il settimo caso di contagio, infatti, l’Usl 2 ha deciso di coinvolgere la maggiore autorità del settore: il direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Iss, Giovanni Rezza, sabato mattina ha incontrato le famiglie affrontando legittime paure di chi continua a chiedersi se sia stato fatto abbastanza per tutelare i bambini. E chi ora vuole sapere come mai quella maestra, che da mesi stava poco bene, ha continuato a frequentare l’istituto, mettendo a rischio alunni e personale. Un gruppo di genitori si dice preoccupato: i bambini positivi, in alcuni casi, sono stati emarginati. «Mio figlio mi ha detto che i compagni di scuola gli stanno distanti», rivela una madre, mentre un’altra racconta che a giocare e fare sport adesso «ci sono molti meno bambini». L’Iss ha seguito la vicenda passo dopo passo e assicura che «la Regione e l’Usl di Treviso hanno agito correttamente e ora la situazione è sotto controllo». Il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha ribadito che il focolaio epidemico è stato isolato: «La situazione è circoscritta, non c’è ragione di preoccupazioni irrazionali perché tutte le misure di controllo e prevenzione sono state tempestivamente attuate dall’Usl e dall’Iss».
Sono state coinvolte nell’emergenza le équipe del Servizio di Igiene e Sanità pubblica, la Microbiologia e le Malattie Infettive di Treviso, la Pediatria e la Radiologia di Oderzo, con la collaborazione della Pneumologia di Motta e Treviso e della Radiologia di Treviso. Un universo di specialisti per trovare una risposta ipotizzata fin da subito e confermata nel corso di un mese ad alta tensione, che ora si spera volga al termine. I pazienti seguiti sono in miglioramento: la maestra «caso indice» prosegue la cura in isolamento nella propria abitazione; altri quattro bambini sono costretti a seguire la terapia a domicilio; la seconda maestra contagiata e quattro alunni hanno invece ripreso l’attività ordinaria.
Corriere veneto